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Niente protezione per Spatuzza, vacilla uno dei pilastri anti-Cav

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Negato al boss mafioso il programma speciale testimoni: le sue dichiarazioni sono a "scoppio ritardato"

Fabio Corti
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Vacilla uno dei più recenti pilastri dell'antiberlusconismo. Il boss della mafia Gaspare Spatuzza (nella foto il giorno dell'arresto nel luglio 1997) non è stato ammesso al programma di protezione. Lo ha stabilito la Commissione centrale del Viminale per la definizione e applicazione delle misure speciali di protezione. La proposta era stata avanzata dalle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo che indagano sulle stragi di via D'Amelio e del '93. Il motivo alla radice di tale misura è che il collaboratore di giustizia ha incominciato a fare deposizioni spontanee ben oltre il termine, stabilito per legge, di 180 giorni dalla data in cui ufficializzò la propria cooperazione con gli inquirenti. Ed è proprio lo "scoppio ritardato" delle sue ammissioni ad aver sempre lasciato forti dubbi riguardo la credibilità delle stesse. Per Spatuzza rimangono in essere solo le misure di sicurezza ordinarie, quelle "ritenute adeguate al livello di rischio specifico segnalato", così come dichiarato dalla medesima Commissione. Infatti Gaspare Spatuzza, soprannominato "u Tignusu" (il Pelato), si è dichiarato pentito solo dall'estate 2008, a distanza di undici anni dal suo arresto presso l'ospedale Cervello di Palermo. Prima di finire in carcere, è stato uno tra i sicari più vicini a Filippo e Giuseppe Graviano e anche uomo di fiducia del capomafia corleonese Leoluca Bagarella. Autoaccusatosi del furto della Fiat 126 che il 19 luglio 1992 venne impiegata come autobomba nella strage di via d'Amelio in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino, Spatuzza fu tra gli esecutori materiali dell'omicidio di don Pino Puglisi del 15 settembre 1993. È stato inoltre condannato per gli omicidi di Giuseppe e Salvatore Di Peri, Marcello Drago, Domingo Buscetta (nipote del pentito storico di Cosa Nostra, Tommaso) e Salvatore Buscemi. Il 23 novembre 1993 rapì Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, poi ucciso dopo oltre due anni di prigionia. La svolta "collaborazionista", come detto, arriva nel 2008. Da allora il boss siciliano di Cosa Nostra ha rilasciato diverse dichiarazioni in ordine alla strage di via d'Amelio, alle bombe del 1993 a Milano, Firenze e Roma e ai legami fra la mafia e il mondo politico-imprenditoriale, deposizioni in cui ha tirato in ballo anche i fratelli Graviano (malavita) e Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Tra smentite e contraddizioni, le sue dichiarazioni, su cui stanno ancora indagando le procure di Firenze, Caltanisetta e Palermo, sono incrociate con quelle Giuseppe Ciaramitaro, altro collaboratore di giustizia le cui deposizioni sono incentrate tra i presunti legami tra apparati dello Stato e la mafia. Sorpreso della decisione del Viminale il pm di Palermo Nino Di Matteo. Pur manifestando riserve su alcune dichiarazioni di Spatuzza, il magistrato ha così commentato il no all'accesso al programma di protezione da parte del collaboratore di giustizia. "Per quanto ricordi - dice all'Agi il magistrato tra i titolari dell'inchiesta sulla trattativa fra mafia e Stato - è la prima volta che si nega l'ammissione al programma di protezione per i pentiti, in presenza della richiesta di ben tre procure della Repubblica. La valutazione delle sue dichiarazioni resta comunque di competenza dell'autorità giudiziaria",

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