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"Piove, governo ladro!" Repubblica s'aggrappa al maltempo

L'ultima del giornale-partito: non pioveva così da 40 anni, i disastri sono colpa del Cavaliere... / BORGONOVO

Giulio Bucchi
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Anni di riunioni, migliaia di euro buttati per finanziare cervelloni, processioni di  spin doctor pluridecorati con master negli Usa... Un mastodontico dispiego di energie al fine di trovare argomenti convincenti per le campagne elettorali. E pensare che lo slogan definitivo del centrosinistra era lì a portata di mano e di manifesto. Ce l'aveva Giovanni Valentini, editorialista tra i più rinomati di Repubblica. Solo che Valentini, mannaggia a lui, la sua formidabile trovata l'ha resa nota soltanto ieri. Il grido di battaglia supremo per il popolo che vuole detronizzare  Silvio Berlusconi è il seguente: «Piove, governo ladro!». Sul serio. L'ha scritto davvero.   Il Valentini, tuttavia, è astuto come una faina. Non offre la frase completa, dalla prima all'ultima lettera. Si limita a suggerirla con insistenza, così Pier Luigi Bersani, al momento di adottarla per la movimentazione del Partito democratico in vista del voto, potrà convincersi che la pensata è sua, che c'è arrivato da solo a partorirla. Dice l'editorialista di Repubblica, discutendo dei disastri causati dal maltempo nelle Marche,  che «non pioveva così da quarant'anni» e «di fronte alla tempesta di acqua, neve e vento che imperversa da un capo all'altro dello Stivale, è forte la tentazione di ricorrere ancora una volta al cinismo di un vecchio proverbio popolare, per dire che da quarant'anni non avevamo un governo tanto incline all'appropriazione indebita e al consumo del territorio». Dunque piove, governo ladro!   I presupposti culturali di questo concetto sono tali e tanto profondi che la penna tagliente del quotidiano di Ezio Mauro si prende mezza pagina dei commenti per illustrarli. Sentite qua: «Il governo è veramente “ladro”, perché sottrae alla collettività e alle generazioni future un patrimonio irriproducibile». Traduciamo: l'esecutivo di centrodestra devasta l'ambiente, provoca dissesti idrogeologici, disbosca e favorisce le frane. Quindi si può a ragione affermare che «non c'è disastro o calamità naturale infatti che possano essere relegati nella dimensione biblica della fatalità, senza chiamare in causa le responsabilità o quantomeno la responsabilità dell'uomo». Dai, indovinate chi è quest'uomo... Silvio Berlusconi, chiaro: l'ecomostro è il Cavaliere. Secondo Valentini, «vittime, feriti e dispersi; frane, smottamenti e alluvioni; danni e rovine» più che alla furia della Natura sono riconducibili al malgoverno di Lega e PdL. Va bene che Silviuccio si considera l'Unto del Signore, ma ad attribuirgli il potere di controllare gli elementi si rischia di fargli un complimento troppo grande, lo si eleva al grado di divinità (magari lui ne sarebbe pure contento). Non bastasse la lenzuolata di Repubblica, a sostenere la scelta di «Piove, governo ladro!» come motto del centrosinistra e degli antiberlusconiani tutti ci si mette anche MicroMega, con un articolo nell'ultimo numero firmato da Giovanna Ricoveri (dove il cognome è sintomatico del delirante contenuto del pezzo). Sotto il titolo «Disastro ambientale», al governo di centrodestra e al suo capo si attribuisce la paternità di cataclismi degni dell'Antico Testamento. Visto che il Diluvio Universale - l'ha dimostrato  Valentini - è frutto delle scelte berlusconiane, mancano all'appello solo l'invasione delle cavallette e la morte dei primogeniti. Infatti, spiega MicroMega, la politica ambientale dei governi Berlusconi «ha provocato effetti disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni. Oltre a distruggere il nostro ecosistema, ha un costo economico e sociale enorme che ricade soprattutto sui soggetti più deboli». Diluvia, nevica, c'è vento, il clima cambia, fa freddo, fa caldo: tutto a causa del Biscione. Cari compagni, per liberarci dalla pioggia, urge la rivoluzione. Abbattete il Cavaliere, così tornerà a splendere il sole. Quello dell'avvenire, magari. di Francesco Borgonovo

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