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Sarkozy, clandestini rifilati a Ventimiglia a suon di scontrini

La Polizia francese rispedisce immigrati da Nizza col trucco. Nel rispetto di Schengen / DELL'ORTO

Giulio Bucchi
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Quando li prendono, che sia subito dieci metri dopo la frontiera di San Ludovico o quella più giù di San Luigi, o ancora sul treno a Menton o nei vicoli di Nizza, li guardano con odiosa arroganza. Così, tanto per chiarire subito che, parbleau, qui siamo in Francia e niente a che vedere con i soliti italiani cialtroni e inconcludenti. Poi, borbottando qualcosa di poco capibile,  chiedono al povero clandestino «où etes-vous», da dove vieni, e si fanno consegnare il biglietto del treno, prova fondamentale per dimostrare che lo straniero senza documenti viene dall'Italia e là va rispedito - secondo l'accordo di Chambery  (1997) -, dunque non c'è bisogno di portarlo a Marsiglia e imbarcarlo con il foglio di via verso il proprio paese di origine, che sarebbe un'operazione fastidiosa e pure costosa. Come dire, un modo perfetto per  fregarsene e lasciare il problema a noi italiani che tanto siamo allenati con Lampedusa.  Già, ma come fare se il ragazzo tunisino lo becchi che è ormai per le vie di Nizza e non ha con sé un biglietto ferroviario? Se non ti confessa da dove proviene? Sì, insomma, se non c'è modo di scoprire - anzi dimostrare - che sta arrivando proprio dal nostro confine? A quel punto rischieresti di dovertelo accollare, di doverci pensare tu, povero francese che per anni ce l'hai menata con la moralità e ci hai deriso - a noi italiani - per non saper gestire i clandestini. Insomma sarebbero guai. Beh - oplà - i gendarmi di Menton e di Nizza hanno il trucco. Che magari non è proprio elegante e raffinato, ma sicuramente  è comodo e utile (per loro). E soprattutto funziona. Quando quelli della Gendarmerie fermano un clandestino e non sanno come dimostrare da dove proviene, taaac, con un gesto furtivo gli infilano in tasca uno scontrino del bar del centro di Ventimiglia, una ricevuta della Standa di San Remo o qualcosa di simile rimasto “casualmente” in tasca dall'ultimo viaggio nella vicinissima Liguria e poi, a metà perquisizione, lo fanno comparire per magia. E così il gioco è fatto, anzi les jeux sont faits. Il ragazzo viene rimbalzato in Italia  a bordo di un furgone e lasciato alla Polizia italiana (spesso, invece, di notte - clandestinamente! - per strada), che se si azzarda a protestare viene zittita con lo sventolio del biglietto che la incastra. E poi i furbetti saremmo noi. «Sì, non mi stupirei più di tanto. I francesi sono rigidi e se le studiano tutte» racconta Gaetano Scullino, sindaco di Ventimiglia «pur di non affrontare il problema. Però i nord africani non si arrendono. Negli ultimi 40 giorni da noi sono transitati più di 3000 clandestini e ogni giorno in stazione ce ne sono solo un centinaio compresi i nuovi arrivi. Significa che molti riescono a fregare i francesi e i loro controlli». Il sindaco, per gestire meglio la situazione ed evitare che i sottopassi si trasformassero in accampamenti, ha fatto aprire i bagni pubblici della stazione e ha allestito una sala con posti per dormire.  Tra un treno che parte e uno che arriva, dunque, ad ogni ora del giorno e della notte c'è un via vai di nord africani. Ragazzi giovanissimi, tutti under 30, che hanno qualche soldo in tasca e un unico bagaglio: il telefono cellulare, la loro salvezza. Tramite sms e chiamate veloci tengono aggiornati i parenti, ma soprattutto comunicano con chi ce l'ha fatta e si fanno dare le dritte giuste per capire dove e quando entrare in Francia. Certo, non è sempre facile. Said ha 24 anni e viene dalla Tunisia. È disteso sul marciapiede ed è scalzo. Ha provato a passare la frontiera per quattro volte, per cercare di andare a in Belgio dal fratello. Per quattro volte è stato preso, gli hanno strappato il biglietto del treno (la prima volta era un tagliando per Bruxelles, le altre per Nizza) e l'hanno obbligato a tornare a piedi. Trentacinque km. «Ora ho male dappertutto, non riesco a camminare» racconta grazie all'amico Sofien che sa un po' di italiano «ma appena mi ristabilisco ci riprovo. Cosa ho da perdere?». Kalid annuisce. Si toglie le scarpe, mostra le calze rosse di sangue. Rimbalzato tre volte, costretto a rientrare, anche lui, camminando. «Sono arrivato a Lampedusa 15 giorni fa. Mio fratello è morto in viaggio. Ho pagato 1500 dollari per venire in Italia dalla Tunisia e voglio raggiungere mia sorella a Parigi. Tra poco ci riprovo, la polizia francese è cattiva, ma non violenta. Questa volta ce la farò perché starò molto attento». Sorride,  Kalid. E mostra le tasche dei pantaloni vuote. di Alessandro Dell'Orto

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