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Revisionismo tv: il fascismo secondo Vespa e Baudo

In 'Centocinquanta' gli storici danno un'interpretazione obiettiva del regime, che non fu totalitario / RUGGERI

Andrea Tempestini
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Di solito i programmi della Rai  non brillano per originalità ed equilibrio, scadono spesso nel trash e nella rissa, oppure si inchinano al politicamente corretto con relativo effetto soporifero. Per questo non ci si aspettava granché dalla puntata di “Centocinquanta” di mercoledì sera, trasmissione nazionalpopolare condotta da Pippo Baudo e Bruno Vespa e intrisa di inevitabile retorica. E invece. Sorpresa. Dopo un inizio un po' prevedibile sull'impreparazione (reale, ci mancherebbe) dei nostri soldati, mandati allo sbaraglio nell'affrontare le tragedie della Seconda guerra mondiale, dalla Grecia alla Russia, passando per gli atti tanto eroici quanto vani dei  “leoni” della Divisione Folgore a El Alamein, illustrate con il monologo teatrale “Li Romani in Russia” di Simone Cristicchi (testo del poeta Elia Marcelli) e le centomila gavette di ghiaccio di bedeschiana memoria, ecco il primo momento spiazzante. Luca Biagini e Lucianna De Falco, nei panni di Benito Mussolini e Donna Rachele nello spettacolo “Quel Venticinque luglio a Villa Torlonia” di Pier Francesco Pingitore,  ricostruiscono il ritorno a casa del Duce dopo la fatale seduta del Gran Consiglio, mettendo in risalto l'ambiguità di Vittorio Emanuele III. Si tratta di una visuale inedita su un momento cruciale del Novecento. Segue il racconto dell'8 settembre, l'armistizio, la vergognosa fuga del re e di Badoglio a Pescara descritta con sacrosanta durezza dal duo Baudo-Vespa e resa immortale nelle conseguenze da Alberto Sordi in “Tutti a casa”. Ma il piatto forte è stato la seconda parte della trasmissione, dedicata a una sorta di piccolo processo postumo al capo del fascismo e al sovrano fuggitivo, alla presenza di Alessandra Mussolini, orgogliosa nipote del Duce, Emanuele Filiberto di Savoia, pronipote di Vittorio Emanuele III ben più severo nel giudizio delle gesta del proprio antenato, e degli storici Nicola Tranfaglia, Francesco Perfetti, Gianni Oliva e Giordano Bruno Guerri. Poteva venirne fuori il consueto pateracchio. E invece. Sorpresa. Dalla «inevitabile» marcia su Roma al delitto Matteotti e al «magistrale discorso del 3 gennaio imposto al Duce dall'ala estremista», dalla conquista dell'Impero «apogeo del consenso» alle leggi razziali, studiosi di estrazione e orientamento assai diversi (Tranfaglia è stato assistente di Alessandro Galante Garrone e si è candidato varie volte con il Pdci, la Sinistra arcobaleno e l'Idv; Perfetti è un allievo del grande Renzo De Felice ed ex collaboratore di Libero; Oliva è stato assessore in Piemonte con la Bresso; Bruno Guerri è un opinionista del Giornale) sono riusciti, incalzati anche dalle domande di alcuni studenti universitari, a ripercorrere le tappe fondamentali della storia del fascismo senza litigare, senza darsi sulla voce e persino concordando sui punti-chiave. L'insospettabile Tranfaglia ha definito il regime «una dittatura autoritaria che negli ultimi anni, attraverso l'alleanza con i nazisti e le imprese coloniali e la preparazione della guerra, ha avuto tratti di totalitarismo», mentre Oliva ha sottolineato le differenze con la Russia stalinista, puntando sul grande consenso, la stragrande maggioranza degli italiani, goduto dal fascismo, anche se poi si pone sempre il problema dei meccanismi tramite i quali quel consenso è stato ottenuto. Ciliegina sulla torta: l'abisso tra Ponza e Ventotene, dove venivano mandati al confino gli oppositori, e la Siberia o le esecuzioni di massa. Verità a lungo neglette che ora finiscono su Raiuno. Rendendoci vogliosi di vedere che succederà nella prossima puntata, quando verrà esaminato il periodo compreso tra l'8 settembre 1943 e il 1946, insomma la sanguinosa guerra civile. Pippo, Bruno, non deludeteci. di Miska Ruggeri

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