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Carabinieri pestati, aggressioni impunite E' ora di fare giustizia

Difendiamo chi ci difende. Altro assalto a un controllo. E nel mirino spesso finiscono gli agenti / ANTONELLI

Andrea Tempestini
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Quando a giugno del 2001 in occasione del vertice Ue nella città svedese di Goteborg un migliaio di manifestanti -precursori dei black block -misero a ferro e fuoco il centro, un poliziotto prese la mira e sparò. Due ragazzi feriti gravi. Si urlò allo scandalo, in Italia. In Svezia, il ministro degli Interni dichiarò che gli agenti avevano l'ordine di difendersi. Anche con le armi. Se necessario. Ci fu un'inchiesta interna. Si appurò che effettivamente ci si trovava di fronte a legittima difesa e tutto finì in poco tempo. Se lo Stato avesse messo in discussione l'operato della polizia, avrebbe delegittimato la divisa. In un certo senso, indirettamente spinto altri manifestanti a violare la legge. Là vicino al polo nord succede così. In Italia invece, spesso, chi amministra la giustizia ha la mano fin troppo leggera con chi disprezza i lavoratori della legge e dell'ordine pubblico. Così forse non è un caso se negli ultimi anni gli episodi violenti e le aggressioni a militari e a poliziotti sono aumentate. Ultimo caso ieri nella periferia sud di Roma. Una pattuglia di carabinieri chiede a due persone di esibire i documenti di fronte a un bar di via Monte Albino al Tuscolano. Vengono brutalmente aggrediti e si salvano solo per il casuale intervento di altri due colleghi. Il 25 aprile scorso altri due militari in provincia di Grosseto fermano quattro ragazzi strafatti all'uscita di un Rave party e finiscono all'ospedale in condizioni gravissime. Uno rischia la morte. Anche il tribunale riconosce la spietatezza e la violenza inaudita. Come avrebbero dovuto reagire i militari? Se avessero sparato e ucciso, avrebbero rischiato pene severe. Certo, questo è un caso eclatante e speriamo che la  punizione lo sia altrettanto. Ce ne è bisogno. Serve un segnale all'altezza della situazione. Chi tocca un carabiniere e un poliziotto non solo dovrebbe pentirsi di averlo fatto, ma dovrebbe diventare un monito perchè nessun altro lo faccia. Invece c'è una sfilza di sentenze che vanno nella direzione opposta. A Milano un vigile urbano viene investito da un marocchino su un'auto rubata. Per evitare di essere travolto una seconda volta, spara e ferisce a un braccio il malvivente. Nel 2006 viene condannato a due anni di carcere per lesioni gravi. Deve pagare le spese processuali e 5mila euro di danni. Per fortuna i colleghi, che hanno spirito di corpo, fanno colletta e pagano al posto suo. Dalle istituzioni nessun sostegno. Un poliziotto, sempre a Milano, arresta un pluripregiudicato. Ne scaturisce una colluttazione. Il ladro denuncia l'agente per lesioni e ingiurie. Quattro anni di processo e il rappresentante delle forze dell'ordine viene assolto. Ma costretto a pagare le spese processuali. «Non c'è da stupirsi se molti agenti preferiscono prendere sberle piuttosto che mettere a repentaglio la carriera e la famiglia», spiega a Libero l'avvocato Piero Porciani che ha difeso i due in divisa, «e finire in processi dagli esiti incerti». Altro esempio. Una decina di anni fa cinque poliziotti vengono difesi dall'attuale ministro Ignazio La Russa, allora del foro milanese. I cinque arrestano uno spacciatore. Per evitare che fugga usano le maniere forti. Forse esagerano, forse no. Il processo dura quattro anni e si conclude positivamente. Cadono le accuse di abuso d'ufficio, falso e lesioni. Accuse che hanno reso le notti degli imputati insonni. Il paradosso sta nel fatto che vengono messi sotto processo perchè ci sono tre testimoni pronti a inchiodarli. Si tratta di tre pluripregiudicati. Per fortuna l'onore della divisa non si nutre del rispetto degli altri. Ogni tanto però un messaggio con sentenze dalla mano pesante farebbe bene a tutta la società. di Claudio Antonelli

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