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De Magistris, l'ex pm che si crede pure un martire

Dai colleghi magistrati fino al capo dello Stato: ogni critica per lui si trasforma in un complotto / FACCI

Giulio Bucchi
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Nota metodologica: la verità è che ricostruire la carriera di Luigi De Magistris è difficilissimo. Dal 1998 al 2002 operò come uditore giudiziario a Napoli e poi divenne sostituto procuratore a Catanzaro, con risultati oggettivamente terrificanti che abbiamo in parte raccontato. Ma poi comincia un incredibile marasma mediatico-giudiziario che anche il cronista più attento fatica a ricostruire. A partire dai tardi anni Duemila, infatti, il togato De Magistris denotò irrequietezze decisamente inadatte all'equilibrio richiestogli dal suo lavoro: una rottura degli argini, la sua, che coincise tipicamente con le prime esposizioni mediatiche e con le prime inchieste su vari intrecci di potere. A partire da allora, dunque, il rumore delle sue inchieste ebbe a prescindere completamente dalle effettive correità penali che (non) riguardavano i nomi altisonanti che lui menzionava nelle sue inchieste, e a partire da allora, perciò, il semplice nominare dei personaggi prese ad accluderli d'ufficio in presunte cosmogonie e complotti contro di lui. Nessuno ne sarà risparmiato, neppure l'intera fisiologica giudiziaria, neppure i gip che respinsero le sue richieste, neppure i giudici che giudicavano, i superiori che avocavano, la Cassazione che rigettava, e neppure gli ispettori del Ministero, e il Ministero, tutti. Farà giocoforza parte del complotto anche il Capo dello Stato (quando l'inviterà De Magistris esplicitamente al silenzio) e ne farà parte il vicepresidente del Csm che lo richiamerà al codice deontologico, e ovviamente l'intero Csm, e anche l'Associazione magistrati più qualche corrente togata, in sostanza tutti coloro che oltretutto avevano ascoltato De Magistris respingendo regolarmente tutti i suoi ricorsi. Il magistrato prese addirittura a prospettare una «nuova P2» guidata da Giancarlo Elia Valori,  dunque una «strategia della tensione», una «massoneria», «poteri occulti coadiuvati da pezzi della magistratura» e ovviamente «settori deviati di apparati dello Stato». Non mancarono, nei foschi scenari, anche l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi più alcuni suoi collaboratori, i quali «lasciavano intravedere un discorso molto interessante di riciclaggio dalla Calabria a San Marino», e, in un caso, dei «viaggi molto strani nel centro Africa», senza contare i «collegamenti con l'omicidio Fortugno» e i soliti coinvolgimenti per Clemente Mastella e Massimo D'Alema: ci sarebbe da proseguire, e non avremmo ancora sfiorato, sinora, altri «complotti» delle procure contro di lui.  Qui sta il punto. Immaginate che uno stranito Al Gore, ad Annozero, chieda qualche informazione su questo ex campione della magistratura all'italiana: che cosa gli raccontereste? Dunque: questo De Magistris a Catanzaro conduceva delle inchieste che coinvolgevano l'imprenditore Antonio Saladino oltre a Prodi e a Clemente Mastella; due sue inchieste vennero però avocate dal procuratore capo Mariano Lombardi e dall'allora procuratore generale Dolcino Favi, il tutto mentre si succedevano ben tre ispezioni ministeriali (senza esito) col procuratore generale della Cassazione che decideva intanto di aprire un procedimento su De Magistris; il quale fece un baccano mediatico d'inferno sinché anche il Csm decise di occuparsene. Morale: il Csm condannò De Magistris e lo trasferì a Napoli come giudice e non più come pm (in Italia, egregio Al Gore, è normale) ma ecco che poi il magistrato denunciò un complotto ai suoi danni alla procura di Salerno, la quale indagò sino a convincersi (a sostenere) che i loro colleghi di Catanzaro fossero effettivamente autori di un complotto del quale indirettamente avrebbero fatto parte anche il Csm, il Guardasigilli e la Cassazione; la procura di Catanzaro temporeggiò e non spedì a Salerno le carte richieste, al che la procura di Salerno si spazientì e le spedì un decreto d'urgenza con tanto di perquisizioni e avvisi di garanzia; ne conseguì che il procuratore generale di Catanzaro Enzo Iannelli, pure lui indagato, protestò direttamente col Capo dello Stato, questo mentre il Guardasigilli spediva un'ispezione a Salerno ma con ispettori diversi da quelli utilizzati in precedenza: parecchi infatti risultavano indagati a causa di un altro esposto di De Magistris, questo mentre il procuratore di Catanzaro Iannelli controsequestrava le sue stesse carte (già sequestrate il giorno prima dai colleghi salernitani) e spediva a sua volta una raffica di avvisi di garanzia ai magistrati di Salerno che avevano indagato lui il giorno prima, peraltro utilizzando, nello spedire gli avvisi, gli stessi uomini: questo nonostante Salerno avesse la competenza a indagare su Catanzaro ma Catanzaro non l'avesse a indagare su Salerno, competenza che apparteneva e appartiene a Napoli. Ma chi c'era a Napoli, trasferito da Catanzaro? C'era De Magistris. Tutto chiaro, egregio Gore? Tenga conto che il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, intanto, era in una certa difficoltà: infatti un suo collaboratore, in una delle inchieste di De Magistris, risultava in contatti telefonici con l'indagato Antonio Saladino. Di fronte a un marasma del genere c'è solo da riprendere le varie e rumorosissime inchieste di De Magistris - tipo Poseidone, Why not, Toghe lucane e altri nomi strambi - e verificare razionalmente che cosa ne è rimasto. Lo faremo da domani.  Lo faremo nonostante una difficoltà tecnica che fa parte del metodo di De Magistris: lui, come Di Pietro, è uno che denuncia tutti. Ha denunciato questo giornale e questo giornalista, ha denunciato il relatore del Consiglio giudiziario che gli negò la nomina a magistrato d'Appello, ha denunciato colleghi che avevano respinto suoi provvedimenti (spesso non proponeva neppure impugnazione: invece di fare ricorso, cioè, denunciava direttamente i giudici) e ha denunciato, De Magistris, un avvocato generale dello Stato che aveva revocato un suo procedimento (revoca poi confermata dalla Cassazione) e ha denunciato un ispettore che aveva rilevato irregolarità di rilevanza disciplinare nella gestione della sua inchiesta toghe lucane, ha denunciato un pm di Matera che lo aveva messo sotto indagine, ha denunciato il presidente del Tribunale del Riesame di Catanzaro che aveva annullato diverse sue richieste d'arresto (annullamenti poi confermati dalla Cassazione) e ha inquisito, De Magistris, la madre di una sua collega di tribunale (Mariateresa Carè, prima che ovviamente fosse prosciolta) e ha indagato anche il marito della collega (prima che fosse assolto pure lui) e ha indagato pure il marito del giudice Abigaille Mellace, chiedendone pure l'arresto: richiesta respinta dal gip e dal Tribunale della libertà e dalla Corte di Cassazione; la casa della collega fu tuttavia perquisita. di Filippo Facci

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