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Giulio e Silvio, pace fragile. "Nessuna novità su Palazzo Koch"

"Lavoriamo tutti insieme, oppure qui crolla tutto". Tregua? No, ancora battaglia: il Cav vuole Saccomanni, Tremonti spinge Grilli

Andrea Tempestini
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In apparenza tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti pace è fatta. L'incontro di martedì sembra aver calmato le acque. Sembra, appunto. Perché infatti le frizioni continuano, eccome. Uno dei punti più scottanti è la successione di Mario Draghi alla guida di Bankitalia. Il premier e il ministro continuano ad avere idee differenti su chi debba andare alla guida di via Nazionale: il primo sipinge per Fabrizio Saccomanni (attule direttore generale di Bankitalia), il secondo per Vittorio Grilli (direttore generale del Tesoro e fedelissimo di Tremonti). Nulla è stato deciso. "Ne parleremo in consiglio dei ministri", ha spiegato il superministro. Il Colle non ha ancora ufficialmente voluto dire la sua, ma lavora per risolvere la situazione di stallo. L'irritazione di Giorgio Napolitano è palese. Il tempo passa, e i continui rinvii sulla nomina irritano il Quirinale. Ma nonostante le pressioni del Colle, non pare arrestarsi il braccio di ferro all'interno della maggioranza. Quando il nome di Saccomani pareva sicuro, sono tornate a schizzare le quotazioni di Grilli. Minata da tutte queste incognite, la tregua sigliata da martedì tra Berlusconi e Tremonti pare sempre più fragile. Nel pomeriggio di mercoledì si è appreso che la giornata non ha portato nessuna novità. Dopo un nuovo incontro a Palazzo Chigi con Giulio Tremonti e l'attuale governatore di Bankitalia, Mario Draghi, ai giornalisti che gli chiedevano se ci fossero novità per la successione a Palazzo Koch, Silvio Berlusconi ha risposto laconicamente: "No".  Segue la cronaca di martedì di Salvatore Dama. «Giulio, il momento è gravissimo, non possiamo litigare tra noi. Qui se non facciamo qualcosa, si va tutti a casa...». Berlusconi fa la voce suadente, l'occhio languido. Il tono giusto. E Tremonti, preso per il verso buono, è meno antipatico di quello che sembra.  Succede che non succede niente: inutile sintonizzarsi su Grazioli tv sperando in “Mezzogiorno di fuoco”. L'incontro tra il premier e Tremonti finisce con la stipula di un armistizio. Ognuno, profittando della debolezza dell'altro, incassa un risultato. Entrambi promettono davanti a Gianni Letta, il regista della tregua, di rimettersi a collaborare. Il decreto con le misure per lo sviluppo sarà frutto di un lavoro corale, dicono. E si andrà avanti così, fino al prossimo litigio. "COLLABORIAMO" Disgelo: alla fine l'operazione del sottosegretario alla Presidenza riesce bene, specie perché trova terreno fertile nelle due controparti. Nessuno può tirare più di tanto la corda: non ne ha la forza, non ne ha la voglia. Silvio sa che non può ottenere lo scalpo del professore, la Costituzione non gli consente di pretendere le dimissioni dei suoi ministri. Chiedere un passo indietro è fiato sprecato. Allora meglio stringere la mano che non puoi tagliare. Pace. Tremonti? Non è più quello di un anno fa, l'inchiesta giudiziaria sul suo ex consigliere Marco Milanese l'ha messo in imbarazzo. Un po' di smalto è andato via e anche il rapporto con la Lega, a causa della faida di via Bellerio, adesso è così così. Fiato per prendere la rincorsa e dare una spallata al Cavaliere non ce n'è. Dunque resa dei conti rinviata, si prova a collaborare. «Dobbiamo dare un segnale di unità ai mercati, preparare un provvedimento forte che ci consenta di rimettere in moto l'economia, ci giochiamo la vittoria elettorale con questo decreto, Giulio». Berlusconi cerca di convincere il socio ritrovato che il momento è solenne. Che eventuali errori fatti adesso si pagheranno quando l'esecutivo si sottoporrà al giudizio delle urne. Silvio a questo decreto sulla crescita ci tiene come fosse un figlio. È il passepartout per uscire dall'immobilismo e levarsi dalla morsa delle procure. «Il provvedimento porterà la mia firma, me ne occuperò personalmente. Valuteremo le idee di tutti, non solo quelle di Tremonti», spiegherà più tardi il Cavaliere, congedato il ministro dell'Economia. Tanti i capitoli: privatizzazioni, dismissioni, infrastrutture, semplificazione, forse il condono. Giulio, invece, chiede e   ottiene l'archiviazione della “cabina di regìa”, sostituita da una «diretta collaborazione» tra Palazzo Chigi e via XX settembre, affidata alla mediazione costante di Letta. Oggi il sottosegretario alla Presidenza parteciperà al vertice con le parti sociali.  Domani sarà il capo del governo in persona a varcare la soglia del ministero dell'Economia per prendere parte al seminario sulle dismissioni. L'altra parte dell'accordo riguarda i tempi. Che si allungano: probabile che salti il consiglio dei ministri di venerdì e che il testo rimanga in officina per un'altra settimana, sottoposto a riscritture e limature. Ieri sera se n'è riparlato a cena. Con Berlusconi c'erano Bossi, Calderoli, Alfano, Ghedini e di nuovo Tremonti.  VIA I GRILLI Archiviata l'ipotesi di rimozione del ministro dell'Economia, sembra che a Palazzo Grazioli abbiano messo nel mirino il direttore generale del Tesoro. Vittorio Grilli, figura centrale nel sistema tremontiano temuta dai ministri più dello stesso Tremonti, potrebbe essere spostato altrove per disarticolare il potentissimo ticket. Promozione-rimozione: ieri è nuovamente circolata l'ipotesi di Bankitalia, ma il posto di Governatore sembra oramai destinato a Fabrizio Saccomanni, attuale direttore generale di Palazzo Koch, ben visto da Napolitano, Berlusconi e Letta. Grilli (sponsorizzato da Tremonti e Bossi) allora potrebbe accasarsi all'Antitrust, una delle authority in scadenza nei prossimi mesi. Riappacificato (momentaneamente) con Tremonti, Berlusconi trova subito un nuovo nemico: Emma Marcegaglia. Lunedì sera Silvio ha ricevuto ad Arcore un nutrito gruppo di imprenditori lombardi. Con loro ha avuto parole durissime per il leader di Confindustria. «Che ingrata...», ha sospirato il presidente del Consiglio, ricordando la circostanza che l'azienda del presidente di via dell'Astronomia ha avuto una fetta molto importante degli appalti per il G8 italiano, quello che originariamente doveva tenersi alla Maddalena. Ma Berlusconi ce l'ha con i pm sopra ogni cosa: «Napoli, Bari, Roma, Milano: c'è una guerra tra procure, fanno a gara a chi deve farmi fuori». Ci sono «molti ambienti che cercano di sabotare l'esecutivo ed è difficile governare in queste condizioni», si sfoga il premier in un messaggio di auguri inviato a don Pierino Gelmini. Ma «io vado avanti lo stesso». Il partito fa quadrato intorno al leader. Ieri, a via dell'Umiltà, Angelino Alfano ha incontrato i coordinatori regionali. Calendario dei congressi locali  ma anche chiamata alle armi per difendere il Cavaliere: «Quando attaccano Berlusconi, attaccano tutti noi. Dobbiamo stare al suo fianco». di Salvatore Dama

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