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La Casta che schiaccia l'Italia Ora serve una prova di dignità

Dopo anni di spettacolo indecente i politici sono chiamati a una prova di responsabilità. Leggi l'articolo di Giampaolo Pansa

Lucia Esposito
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Dopo tante parole scritte, dette e urlate sulla Casta dei partiti politici, adesso siamo arrivati al dunque. La Casta si trova di fronte a un esame ultimativo dal quale dipende la vita o la morte. Non in senso fisico, per fortuna, bensì morale. Perché sono in gioco la sua autorità nel guidare l'Italia, la sua credibilità etica, il suo stesso buon nome.  Il test non potrebbe essere più semplice. Dal momento  che l'ultimo governo, quello di Silvio Berlusconi,  è defunto per i motivi che tutti conosciamo, è indispensabile  metterne in sella un altro. Bisogna farlo in fretta, perché gli squali del mercato finanziario sono arrivati anche dentro le fontane dei nostri giardini pubblici. E bisogna affidarlo a un signore che conosce bene, per studi e per esperienza, che cosa dobbiamo fare per non finire straziati dai pescecani.  Il presidente della Repubblica ha indicato alla Casta un nome: Mario Monti. Non lo ha ancora proposto in modo formale perché i tempi della crisi sono quelli che conosciamo: molto, molto stretti. Ma è inutile strologare sulle procedure. Tutta l'Italia sa che Napolitano vorrebbe lui nella trincea di Palazzo Chigi. E lo vorrebbe subito per uno scopo preciso: non presentarci lunedì alla riapertura dei mercati finanziari come il mitico don Falcuccio, che andava in giro nudo di dietro e nudo davanti.  Alla Casta il Quirinale pone una domanda sola. Lo accettate oppure no un governo d'emergenza guidato dal professor Monti? Siete disposti a sacrificare, almeno per una volta, i vostri interessi di partito e personali, oggi diventati piccoli piccoli davanti al grande rischio che corrono milioni di italiani?  Una parte della Casta, per esempio quella con fazzoletto verde della Lega di Umberto Bossi, ha già detto di no. Un'altra parte, il Partito democratico di Pierluigi Bersani e e il Terzo polo guidato da Pier Ferdinando Casini , ha risposto sì. Un'ulteriore parte della Casta, il Pdl di Silvio Berlusconi traccheggia. Non sa come rispondere al test, litiga, si insulta nel tinello di Palazzo Grazioli, rischiando di spaccarsi. Infine c'è un quarto settore, quello guidato da Tonino Di Pietro. Sulle prime il capo dell'Italia dei valori spara un no identico alla Lega, ma poi comincia a ripensarci. Perché una quota importante della sua base lo sta mandando a quel paese, chiedendogli di votare il governo Monti. Nel suo insieme è uno spettacolo miserabile, con rispetto parlando. Lasciatelo dire a un cronista come il sottoscritto che da mezzo secolo racconta le avventure tragicomiche della Casta nostrana. L'ho vista fare di tutto e di più, tanto nella prima che nella seconda Repubblica. Cose buone e cose cattive. Fra quelle cattive ci metterei, da una certa data in poi, la disinvoltura criminale nel far crescere il debito pubblico. Un mostro che non può essere messo sul conto del solo Berlusconi.   Per non andare troppo all'indietro nel tempo, voglio ricordare come si è condotta la Casta nella Seconda Repubblica. A partire dal 1994, l'anno delle prime elezioni generali della nuova era. Il voto popolare premia il Cavaliere che dà vita a un governo di centrodestra. Siamo in marzo, il governo muore dopo appena nove mesi, grazie al ribaltone di Bossi e di Rocco Buttiglione.  Viene messo in sella un governo guidato da Lamberto Dini, un tecnico, già ministro del Tesoro nel primo esecutivo del Cavaliere. Nel 1995 le sinistre cercano un nuovo candidato premier e a denti stretti scelgono Romano Prodi, un tecnico di area democristiana. Tra mille difficoltà e sospetti interni, Prodi vince e va al governo. E' l'aprile 1996. Due anni e mezzo dopo, il professore è costretto a dimettersi per il voto contrario di Rifondazione comunista.  Caduto Prodi, a Palazzo Chigi entra Max D'Alema, il primo comunista italiano a diventare premier. È l'ottobre 1998. Non passano neppure due anni e nella primavera del 2000, Max si dimette anche lui. Al suo posto va in sella Giuliano Amato che, bene o male, completerà la legislatura per conto del centrosinistra.  Nel maggio 2001 vince di nuovo Berlusconi. Dura cinque anni, però non riesce a combinare un granché: parole tante, fatti pochi. La spesa pubblica aumenta e il deficit dello stato continua a crescere in modo incontrollato. Le promesse del Cavaliere sono davvero una miriade, ma soltanto poche vengono mantenute.  Alle elezioni generali del 2006, per la seconda volta ha la meglio Prodi. Ma il suo nuovo governo di centrosinistra dura ancora meno del primo. Il Professore cade nel gennaio 2008. Messo a terra da quelle che lui chiama le frange lunatiche della sinistra. Vale a dire dalla solita  Rifondazione comunista. In un carnevale grottesco che vede dei ministri rossi gioire per gli scioperi contro il governo.  L'Italia viene chiamata a elezioni anticipate. È il trionfo di Berlusconi. Nella primavera del 2008, il Cavaliere conquista una maggioranza mai vista nel Parlamento italiano: una montagna di voti, di deputati, di senatori. Ma la montagna non è di roccia, bensì di terriccio instabile, soggetto alla frane. Infatti il centrodestra a poco a poco si sgretola. Tanto che, ai giorni nostri, il governo va a ramengo e Silvio è costretto alle dimissioni.  Cari lettori di “Libero”, questa è la Casta dei partiti nostrani. Che cosa possiamo aspettarci da qualche migliaio di signori che, sia pure non tutti, pensano a nient'altro che al proprio cadreghino? Soltanto il peggio. Dovevano dimezzare il numero dei parlamentari e sono ancora tutti lì, inchiodati a Montecitorio e a Palazzo Madama. Dovevano abolire tutte le province e non si è mossa una foglia. Dovevano eliminare una quantità di spese inutili e non hanno tagliato quanto era necessario. I privilegi della Casta sono rimasti intatti.   Nel frattempo è arrivato una specie di Giudizio universale. La crisi finanziaria globale ci ha investito in pieno. La Borsa crolla quasi tutti i giorni. Il valore dei titoli bancari è talmente sceso che non mi stupirei di vedere un paese del terzo Mondo, o meglio ancor la Cina comunista, comprarsi i nostri primari istituti di credito. Tra poco i titoli di Stato italiani potrebbero sembrare carta straccia. Bisogna farci il segno della croce  e sperare che santa Scarabola, la santa dei miracoli impossibili, ci aiuti a ottenerne il rimborso.  Ma la Casta ha fatto anche di peggio. Milioni di italiani si rivolgono, angosciati, due domande che non si erano mai proposte. Il nostro sistema bancario reggerà? E i nostri risparmi, custoditi nei conti correnti, saranno al sicuro o no? In tantissime famiglie si è insinuata la paura di perdere quel poco di benessere che hanno conquistato. Conosco casalinghe che, per la prima volta nella vita, ogni sera ascoltano i telegiornali per sapere se il maledetto spread con i titoli tedeschi è salito o sceso.  La Casta si rende conto del panico silenzioso che sta distruggendo la tranquillità di tanti cittadini senza potere? Forse sì, ma l'osserva con il distacco del menefreghista. E può anche darsi che non lo avverta nepppure, presa com'è dai soliti giochi di palazzo. Tuttavia, insieme alla nostra credibilità politica e finanziaria, c'è dell'altro che sta svanendo. Sono le facce dei capi politici, che appaiono sempre più l'ombra di se stessi.  Il Di Pietro tuonante contro il mondo intero oggi ha il faccione flaccido del leader bastonato dai propri elettori. Nichi Vendola ha perso la sua facondia surreale e blatera a favore di un governo di scopo, che poi sarebbe una patrimoniale feroce. Nei vertici del Pdl volano gli stracci e gli insulti. Sotto gli occhi atterriti di un Cavaliere che non crede ancora alla fine del proprio ciclo politico. E sa bene che da un voto anticipato può aspettarsi soltanto una catastrofe per il suo partito.  Che cosa doveva fare il presidente Napolitano? Restare a guardare o cercare una via d'uscita? Per fortuna nostra, ha scelto la seconda strada. Il capo dello Stato sa bene che non siamo una repubblica presidenziale. Ma pur nei limiti dei suoi poteri si è mosso con saggezza e rapidità. E ci propone il leader giusto nel momento giusto: Monti.  Se la Casta non vuole accettarlo, si renda almeno conto di essere alla fine della pacchia. Un'altra strada non esiste. Non vi piace Monti? Allora beccatevi gli squali della speculazione. Sono lì che aspettano voi e noi. Con i denti affilati e pronti a straziarci tutti. Ma starei attento anche ai colpi di coda del Cavaliere. Nessuno sa che cosa gli passi per la testa in questo momento molto drammatico per lui. Si è limitato a dire: «Non voglio essere umiliato». Qualche amico dovrebbe spiegargli che è stato lui a fare l'impossibile per mettersi in croce da solo. di Giampaolo Pansa

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