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Carceri, trovata del ministro "Meglio il braccialetto"

La ricetta di Paola Severino contro il sovraffolamento in 10 anni è già stato un flop: mai impiegato su larga scala

Nicoletta Orlandi Posti
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L'emergenza carceri ha raggiunto livelli insostenibili e il ministro della Giustizia Paola Severino ha una ricetta tutta sua. Nessuna amnistia, nè nuovi istituti di detenzione. Per il neo Guardasigilli la soluzione è quella del braccialetto elettronico. Chiamata ad esporre il suo programma davanti alla commissione Giustizia del Senato il ministro ha detto senza mezzi termini che questo è una delle misure alternative alla detenzione sulle quali bisogna puntare per alleggerire le galere che ormai scoppiano. Ovviamente la proposta dovrà passare per l'approvazione del Parlamento, ma si dice convinta che misure alternative, quali ad esempio la "messa in prova", l'allargamento della detenzione domiciliare, ma soprattutto il braccialetto elettronico possono far fronte all'emergenza attuale aratterizzata da un numero di reclusi "non sostenibile e non coniugabile con il rispetto dei diritti fondamentali della persona". Secondo la Severino il braccialetto elettronico ha un "grande successo" in Europa e negli Stati Uniti, anche perchè raramente chi vi è sottoposto torna a delinquere ("il tasso di recidiva è estremamente limitato") e che consentirebbe "risparmi notevoli", visto che non ci sarebbero più i costi della detenzione per chi vi si sottopone. In Italia, finora, invece è stato un "fallimento". Una parola che il ministro non usa a caso: lo Stato paga un canone annuo di quasi 11 milioni di euro alla Telecom per 450 kit di fatto inutilizzati, per un problema tecnico che sembrava "irrisolubile", (la rintracciabilità del segnale) e sul quale ora lei e la sua collega degli Interni hanno "unito le forze". Il braccialetto per i detenuti non è mai stato impiegato su larga scala. Il 'Personal identification device' arrivò in Italia dieci anni fa. Il Viminale ne noleggiò 400 con l'entrata in vigore del decreto legge numero 38 del 2 febbraio 2001. Ma la media di utilizzo, dati 2010, non supera i dieci braccialetti l'anno. Si tratta di una misura che gli stessi detenuti hanno mostrato di apprezzare. Un sondaggio condotto qualche anno fa da Magazine2, il giornale del penitenziario milanese di San Vittore svelò che il 78% dei detenuti lo porterebbe volentieri, perchè risolverebbe il problema dell'allontanamento dagli affetti e sarebbe più facile trovare o mantenere un lavoro. Sul sito del ministero della Giustizia il dispositivo viene così descritto: "è un mezzo elettronico destinato al controllo delle persone sottoposte agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare che si applica alla caviglia e permette all'Autorità giudiziaria di verificare a distanza e costantemente i movimenti del soggetto che lo indossa. Nel caso di alterazione o manomissione del braccialetto, è previsto il ritorno in carcere e una pena aggiuntiva". Quello che in Italia è uno strumento che stenta a decollare, in altri Paesi è una realtà consolidata dopo risultati di successo, come il caso della Gran Bretagna E in Russia, lo scorso anno, sono stati lanciati i braccialetti elettronici con Gps per controllare i detenuti in libertà condizionata.

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