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Così Clooney e Eastwood smentiscono Travaglio & Co

La pelliccola anti-intercettazioni dà lezioni di stile all'Italia dove le telefonate dei potenti sono diventate di dominio pubblico

Lucia Esposito
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La grandezza del cinema americano, ciò che lo fa giganteggiare nel confronto con quello italico, è la capacità di raccontare storie esemplari, situazioni che travalicano i confini e i periodi storici, senza fermarsi a quanto accade nel cortile di casa. Così può accadere che due film statunitensi arrivati nelle nostre sale di recente siano in grado di illuminare anche il triste quadro della politica italiana.   E il caso di J. Edgar, l'ultima opera del grande Clint Eastwood, e di Le Idi di marzo di George Clooney, uscito qualche mese fa (Mondadori sta per mandare in libreria il testo teatrale da cui è tratto, Farragut North di Beau Willimon). Intendiamoci: forse nessuno dei due sarà ricordato come una pietra miliare di Hollywood. Si tratta semplicmente di due belle pellicole. Le quali, guardate con occhio attento ai fatti di casa nostra, risultano illuminanti.  Il filmone di Eastwood dipana l'imponente biografia di J. Edgar Hoover, capo assoluto dell'Fbi per mezzo secolo, fino alla morte avvenuta nel 1972. Come ha fatto costui a conservarsi la poltrona in un tale nido di vipere e a passare indenne al vaglio di tanti presidenti americani, anche diversissimi per orientamento politico? Eastwood ne mostra la strategia, in effetti piuttosto semplice: li ricattava. Nel recensire J. Edgar su Repubblica, Curzio Maltese ha felicemente sintetizzato spiegando che Hoover è stato «l'inventore di un sistema di controllo feroce quanto efficace». Uno capace di costruire «una gigantesca macchina del ricatto per controllare leader e presidenti, attraverso una maniacale catalogazione delle loro imprese sessuali».  Mai descrizione è stata più precisa. Forse a Maltese è riuscita così bene perché proprio il giornale per cui lavora ha sfruttato (assieme al Fatto di Marco Travaglio e ad altri) il medesimo metodo per anni allo scopo di detronizzare Silvio Berlusconi e, più in generale, gli avversari politici. Nel film di Eastwood si vede  J. Edgar intento ad ascolti nastri osceni, su cui sono impressi i sospiri del presidente Kennedy e di una delle sue numerose amanti, le cui trascrizioni provedderà a mostrare al di lui fratello Bob. Lo troviamo morbosamente interessato ai dettagli scabrosi di una relazione lesbica di Eleanor Roosevelt, tutto felice di potere accomodarsi di fronte ai vari rappresentanti della nazione ed esibire il materiale in suo possesso. Cose del genere, con ben altro stile, le abbiamo viste anche da noi. Dove però le intercettazioni sono diventate di dominio pubblico, saccheggiate dai giornali. Attenzione, Eastwood non vuol dire che sia immorale diffonderle. Si limita a mostrarne la terrificante potenzialità di strumento politico, a come strumento politico, feroce e denigratorio,  sono state utilizzate in Italia.  Anche il film di Clooney nuota nei miasmi della faida fra oppositori politici. E ancora una volta fanno capolino degli scandali sessuali. Questa volta è un ambizioso spin doctor di un candidato democratico alla presidenza a brandirli come un maglio. L'obiettivo? Il medesimo. Non avendo altri mezzi per eliminare chi intende rovinargli la brillante carriera in politica, costui non si fa scrupoli nel ricattare il suo capo. L'argomento sessuale diventa l'extrema ratio per liberarsi dei concorrenti. L'intercettazione, la registrazione di telefonate (o di sms)  facilita il compito. Piccola curiosità, forse marginale: né  nel film di Clooney né in quello di Eastwood si sente mai parlare di «macchina del fango». Forse perché nessun americano si sognerebbe mai di escogitare una bestialità del genere. di Francesco Borgonovo  

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