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Gramellini Liberateci: ora fa la morale a Libero Ma proponeva di limitare il diritto di voto

Il vicedirettore della Stampa nel suo 'Buongiorno' attacca il nostro quotidiano. Cosa dice delle sue proposte anti-democrazia?

Lucia Esposito
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Massimo Gramellini ha  goduto di una grande fortuna:  una casuale assonanza del suo cognome con quello del compianto Franco Lucentini. La qual cosa gli ha permesso di sostituirlo per un breve periodo al fianco di Carlo Fruttero, da cui Gramellini dice d'aver imparato la leggerezza della penna e del pensiero. A noi sembra piuttosto che   alla coppia Fruttero&Lucentini egli sia debitore  di un titolo:  Il cretino in sintesi.  Così si chiamava un bellissimo libro dei due raffinati scrittori. Così potrebbe chiamarsi, considerata l'arguzia dell'autore e la brevità dei suoi scritti, la rubrica di Gramellini in prima pagina sulla Stampa. Ieri lo stimato corsivista se l'è presa con Libero per via di un sondaggio sul nostro sito riguardante Luca Abbà, il No Tav precipitato da un traliccio dell'alta tensione. «Ora a dominare la scena è il cinismo dei gretti contrabbandato per sincerità», ha scritto, accusandoci di non avere pietà per «un tizio che sta in coma all'ospedale coi polmoni arrostiti». Sostiene che utilizziamo «toni forti» e «battute grossolane», «come se la rinuncia al filtro della sensibilità - per la smania di interpretare il pensiero comune al livello più basso - avesse arrostito qualcosa anche dentro di noi». Saremmo colpevoli di una «decadenza delle parole» che «anticipa sempre quella della civiltà che ne abusa». Siamo certi che Gramellini abbia più d'una idea su come arrestare tale degrado civile. Qualche mese fa, per dire, suggerì (sempre nella rubrica Buongiorno) di sostituire alla democrazia la «megliocrazia», e propose di «rimettere in discussione il diritto di voto», levandolo di fatto a quanti non fossero abbastanza colti e dotati di buone maniere. Probabilmente gradirebbe che la cerchia degli  elettori fosse ridotta ai lettori dei suoi romanzi d'amore, più qualche vecchietta, come quella che celebrò in un articolo perché - pur con una pensione da fame - si recava obbediente a pagare il canone Rai. Cioè contribuiva al mantenimento di Che tempo che fa, programma della terza rete di cui il Gramellini è opinionista. Per risanare la nazione ci si dovrebbe comportare  come il Signorino Grande Firma della Stampa, il volto umano e stempiato dell'antiberlusconismo, capace di celare il disprezzo per il Cavaliere e i suoi sostenitori dietro una coltre dolciastra di melassa, dietro i buoni sentimenti e il moralismo con le pattine. Bisognerebbe, come lui,  aver pietà, ma solo per il «popolo pacifico dei No Tav», a cui «violenti, fanatici e provocatori hanno rubato la scena».   Posto che a fulminarsi sul traliccio il pacifico No Tav ci ha pensato da sé e i suoi pacifici colleghi han poi dato la colpa alla polizia. Posto che i pacifici No Tav minacciano  il giudice Caselli e una consistente truppa di giornalisti, fra cui incidentalmente anche noi di Libero (forse perché siamo cinici e gretti), per lo meno stupisce tanto affetto per i pacifici manifestanti dalle colonne di un quotidiano la cui proprietà è stata fra i promotori dell'Alta velocità in Italia. «La Fiat ha sempre considerato la Tav un'opera di importanza cruciale», disse Sergio Marchionne, «fin da quando, vent'anni fa, Umberto Agnelli assunse la presidenza del primo comitato promotore dell'iniziativa».  Il buon Gramellini, del resto, ha sempre provato pietà per i  contestatori. Tanto che nell'ottobre 2006 approntò (parola dell'allora direttore Giulio Anselmi) due pagine di fuoco della Stampa contro Giampaolo Pansa, che due giorni prima era stato aggredito da un gruppo di «pacifici» no global alla presentazione del libro La grande bugia. Pansa ha definito Gramellini «un pennacchione giulivo che si ritiene di sinistra». Scopriamo ora che   si ritiene anche dotato di pietà. In una parola, pietoso. In questo caso ha ragione. PS. Poiché i pennacchioni van sempre in coppia, pure Michele Serra ieri ci ha accusato di esser privi di cuore, ricordando un nostro  titolo sul pubblicitario Baldoni ucciso dagli islamisti. Mentre noi ne infanghiamo la memoria, Serra invece    celebra Baldoni come si deve. Infatti  lo chiama Ernesto invece di Enzo.  di Francesco Borgonovo

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