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I milanesi e quella strana sindrome da stress post vacanziero

E la Madunina tornò dalla ferie
di Francesco Specchia martedì 30 agosto 2022

 Giorgianna e Imbruttito. Stress ada lavoro sul set de "Il milanese imbruttito"

2' di lettura

Ci risiamo, ossignur.

Esaurita l’illusoria parentesi vacanziera la nevrosi comincerà di nuovo a sfrigolare tra gli automobilisti sotto il verde dei semafori; i tavolini dei bar si riaffolleranno di temibili pausapranzisti perennemente incazzati, dallo sguardo livido e con un occhio allo smartphone e l’altro all’orologio; decine di podisti improvvisati ricominceranno a correre scompostamente, alla fine di una giornata di palta, tra lo smog, nel crepuscolo della Co2. Lo stress tornerà a prenderci la testa e le viscere. Torneremo milanesi doc. Cioè, come afferma l’autorevole The Guardian, saremo ghermiti dalla PVS, la post vacation syndrome, la sindrome del rientro post-vacanze che insinua [il dramma anticipato delle scadenze e del lavoro da portare a termine in qualsiasi lavoratore medio che orbiti tra Milano, Londra o Bruxelles. 

 Lo so, è indecoroso nei confronti di chi un lavoro non ce l’ha, o di chi le vacanze non è neppure riuscito a farle. Ma l’effetto <CF2711>rebound </CF>delle ferie finite è qualcosa di ancestrale e incontrollabile. Lo stress del ritorno è, se vogliamo, finanche una caratteristica del milanese, avvertibile solo da chi milanese  non è. È tutt’una fibrillazione indecifrabile che tutto avvolge e tutto governa.

Quando ero ragazzo, abituato alle placidezze della mia Verona scendevo dal treno in Stazione Centrale e, gradualmente, osservavo uno strano fenomeno. Vedevo che tutti si trasformavano in milanesi: si tiravano su il bavero del paletot, nelle mani si materializza dal nulla una ventiquattrore in pelle, il sorriso si stirava in un rimbrotto di saluto e il ritmo del passo, all’improvviso, diventava quello d’un marciatore. Milanesi doc. Quando chiedevo lumi su quella strana metamorfosi mi rispondevano: A Milan, anca i moron fann l’uga, a Milano anche i gelsi fanno l’uva. Io annuivo. Mai capito che cacchio significasse; intuisco fosse una lode al lavoro duro e onesto. E lo era. Sono passati decenni, c’è lo smart working e sotto i semafori si coagulano sciami di monopattini; ma quel sortilegio milanese continua con le nuove generazioni. Perlomeno, ora, gli ho dato un nome...

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