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Milano, fuga dall'alt: chi ha il morto sulla coscienza

Il 21enne deceduto a Milano? Un dramma che pesa su chi sostiene che è giusto dileguarsi da un posto di blocco
di Daniele Capezzone giovedì 22 maggio 2025

2' di lettura

Dispiace la morte di un ventenne che si schianta contro un semaforo correndo in moto all’impazzata? Certo che sì. Solo chi ha il cuore di pietra può non addolorarsi per una tragedia del genere. Ciò detto, razionalità e onestà intellettuale impongono che il nostro cuore sia caldo ma la testa resti fredda. Analizziamo i fatti: il giovane nordafricano, sembra con precedenti, non è stato vittima di un incidente stradale o di una triste fatalità, ma della sua scelta sbagliata di fuggire per il solo fatto di aver visto una pattuglia. Occhio ai dettagli: il giovane, pare privo di patente, vede gli agenti e scappa. La pattuglia non ha nemmeno lampeggiato con i fari, non c’è stato alcun inseguimento e meno che mai un contatto tra l’auto e lo scooter.

E allora? E allora resta quello che Libero scrisse dal primo momento dopo il caso Ramy. Primo: non si scappa dalle forze dell’ordine. Secondo: chi fugge all’impazzata mette in pericolo se stesso e gli altri. Terzo: è politicamente nauseante, oltre che fattualmente insensato, assumere un atteggiamento giustificazionista davanti a chiunque - al solo apparire di un poliziotto o di un carabiniere- senta l’insopprimibile esigenza di fuggire. E allora portiamoci avanti con il lavoro e avvisiamo subito le anime belle della sinistra: non provateci stavolta. Anzi: non riprovateci. Non vi azzardate a colpevolizzare le forze dell’ordine dando vita al solito rovesciamento delle parti: chi fugge è “buono” e va compreso, mentre i ragazzi italiani in divisa - invece - no. Non abbiamo dimenticato i nomi e i volti di chi, senza sapere nulla, già nei minuti successivi all’altro schianto, quello del caso Ramy, si precipitò in tv e sui giornali ad aggredire i carabinieri, a spiegare (figurarsi) come si conducono gli inseguimenti, a gettare ombre di sospetto sul comportamento degli uomini in divisa.

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Poi - perizia dopo perizia, nelle settimane e nei mesi successivi - tutte quelle sciocchezze emersero per ciò che erano: cioè vaniloqui insensati. Ma nessuno si è ancora scusato, e per un tempo interminabile gli agenti si sono ritrovati nell’occhio del ciclone. Ecco: se già era inaccettabile allora quella polemica, oggi sarebbe addirittura lunare. Semmai, sarebbe l’ora che una serie di politici e commentatori- almeno adesso- facessero finalmente ammenda. E riconoscessero come proprio le loro parole di allora, i loro “che male c’è a fuggire” possano aver indotto altri a commettere di nuovo il medesimo tragico errore. Incluso il ventenne nordafricano che ora viene pianto dai suoi parenti e amici. Questo povero ragazzo morto dovrebbe pesare sulla coscienza di chi ha irresponsabilmente parlato a vanvera.

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