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Milano, le ladre rom con la scorta: nessuno si indigna

Enrico Paoli
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Hai voglia a parlare di «percezione». Se a Milano viaggi in metropolitana l’insicurezza è una certezza, priva del corollario fatto di «se» e di «ma». Destinato a diventare ancor più granitico, ora che le borseggiatrici si fanno addirittura scortare sul luogo di lavoro, in modo da bloccare chi si ribella o tenta di fermarle. Chi ci ha provato, in particolare fra coloro che le riprendono per postare sui social i video, ne porta addosso i segni.

Altro che percezione. Anche perché, dati alla mano, il numero delle denunce è nettamente inferiore ai reati commessi. Quindi gli analisti sono indotti a sottostimare il fenomeno. E pure le statistiche sono per difetto. Altro che percezione. Ma viaggiare in metro non può essere un terno al lotto. Perché lo sai, lo hai letto, lo hai visto in tv e sui social, ne conosci persino i volti ormai, i vagoni della sotterranea del capoluogo lombardo sono il luogo di lavoro delle borseggiatrici rom. A Milano, come nella maggior parte delle grandi metropoli dotate di subway, sono un problema serio.

 

 

Donne più o meno giovani, che si mescolano con i turisti, ai quali portano via portafogli e altri valori. Le forze dell’ordine fanno il loro lavoro, certo, ma con i lacci e lacciuoli della legge, che, spesso, inficiano i loro sforzi. Le fermano e in un batter d’occhio sono di nuovo fuori. Il cortocircuito è evidente. Come è altrettanto evidente la distorta lettura del problema da parte di una sinistra arrivata a difendere le borseggiatrici dalla presunta aggressione mediatica, indignandosi per quello. Un dibattito, quello intorno ai video che immortalano le gesta delle ladre seriali, tanto inutile quanto stucchevole. Dove le borseggiatrici sono arrivate a sostenere che fanno quel che fanno, cioè rubano, solo per necessità.

 

 

 

Difficile da credere. Ancor più difficile da sopportare. Lo stato di necessità, quello vero, reale, è ben altra cosa. Tant’è che nei vagoni della metropolitana di Milano le borseggiatrici, ora, non lavorano più da sole, ma vengono seguite dalla scorta, che garantisce loro il risultato del furto, evitando le reazioni delle vittime. Una vera catena di montaggio del crimine. Ecco, di fronte a tutto ciò, il senso d’impotenza passa dallo stato liquido della percezione allo stato solido dell’arrabbiatura. Perché gli ostaggi, in questo perverso meccanismo di guardie e ladri e body guard, siamo noi. Che ci indigniamo. Attendiamo altrettanto da buonisti e affini... 

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