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Alfio Marchini: "Così strapperò Roma a Marino"

Matteo Legnani
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Alfio Marchini riprova a conquistare Roma. Eppure la prima volta, nel 2013, non raggiunse neanche il 10% di voti. "Allora partimmo dall'1% e in soli tre mesi, e senza partiti, prendemmo più voti di quelli che Forza Italia ha ottenuto in Emilia. Se tutti i miei insuccessi fossero così, firmo subito". Famiglia ricchissima, la sua. "I ricchissimi sono altri". A quanto ammonta la sua ultima dichiarazione dei redditi? "Un milione e seicentomila euro circa". Complimenti. Imprenditore, finanziere, giocatore di polo. Ha frequentato tutte le stanze del potere nostrano e internazionale: da Cuccia a Romiti passando per Geronzi, Caltagirone, Shimon Perez e Arafat, oltre a una sfilza di presidenti e segretari di Stato americani, a Giovanni Paolo II e a don Giussani. Chi glielo fa fare di immischiarsi con Roma e con Ignazio Marino? "La scelta di fare politica attiva è figlia di un'antica passione familiare, ma anche di un miracolo che nel 2009 è avvenuto nella mia vita". Che accadde? "Il mio primo figlio ebbe un incidente e rimase in coma. Poi, il recupero prodigioso. Lì decisi di offrire dieci anni della mia vita per gli altri. Roma ha dato molto alla mia famiglia, è giusto esserle riconoscente". Sono bravi tutti a candidarsi per il dopo Marino: fare meglio di lui non sarà difficile. "Prima s'interrompe il gioco del cerino tra il Pd romano e quello nazionale, mettendo fine a questa esperienza, e prima rimettiamo in moto Roma per dare lavoro ai romani". Il cerino sarebbe Marino. "Sono tutti terrorizzati di restare bruciati da lui e ormai il povero Marino è figlio di madre ignota". Lei che voto gli dà? "Le dò una percentuale: 90%. Tanti sono i romani che non lo vogliono sindaco. Marino è percepito come un corpo estraneo. Il guaio è che lui, in fondo, ne va pure fiero". Resta il fatto che la città è difficilissima da governare. Lei che avrebbe fatto dinanzi agli scontri di Tor Sapienza tra romani e immigrati? "Due anni fa dissi che da sindaco avrei spostato la sede operativa in periferia. Andarci dopo, come ha fatto Marino, serve solo per la vetrina". A parte il trasloco in periferia? "Il problema si risolve ripristinando la legalità. Non è ammissibile che vi siano campi nomadi dove la regola è vivere con attività illegali. Non sono più tollerabili i fuochi tossici per bruciare la raccolta clandestina di rifiuti che ogni notte avvelenano Roma. Per immigrati e rom deve valere la regola generale di ogni comunità: i diritti e i doveri camminano insieme". A proposito di diritti: lei avrebbe trascritto nei registri del Comune i matrimoni gay celebrati all'estero? "No. È stata una spettacolarizzazione inutile e dannosa anche per chi combatte la battaglia per i propri diritti civili". Avrebbe pedonalizzato il centro storico? "È stata una ghettizzazione al contrario. Fare del centro una grande vetrina è un'idea sciagurata. Roma è l'umanità che vive dentro la storia. Cosa diversa sarebbe stato abolire il delirio di bancarelle abusive e potenziare il trasporto pubblico". Con il fallimento di Marino, De Magistris e Doria finisce la generazione dei “sindaci arancioni” figli della piazza. "A partire dalle elezioni in Emilia, gli elettori hanno fatto capire che d'ora in poi voteranno per la competenza e non più per appartenenza". Ma lei con chi scende in campo? "Con Roma e con chi non si riconosce nella fallimentare esperienza di Marino. Sia lui che Alemanno hanno deluso tutte le attese. Ora proviamo a far vincere Roma. Mobilitiamo una grande squadra senza avere la presunzione che i fuoriclasse stiano solo da una parte". Ha in mente una lista civica? "Ho in mente donne e uomini, professionisti e politici che mettano cuore, competenze e che si giochino un pezzo della loro esistenza in questa missione. Basta con i galleggiatori di professione". Ha parlato con Berlusconi della sua ricandidatura? "No". Però quando il Cav cercava un volto nuovo per il centrodestra la volle incontrare. Che successe poi? "L'unico erede di Berlusconi è lui stesso. Tutto il resto è folklore". A Roma esiste il quartiere Marchini. Popolare, costruito dalla sua famiglia. Lei ci abiterebbe? "Sì. Anche se cinquant'anni fa il verde non aveva proprio vita facile". Siete ormai alla quinta generazione di costruttori. Suo nonno era molto legato al Pci e la leggenda vuole che fu lui a donare al partito la sede di Botteghe Oscure. Quanti leader storici della sinistra ha conosciuto? "Personalmente negli ultimi vent'anni ho deciso di non partecipare al grande ballo del mattone. Nonno Alfio aveva una stima infinita per Amendola e raccontava che sacrificò la propria carriera politica per amore della moglie pittrice. Chapeux!". A suo nonno Alfio lei ha anche dedicato un saggio su Micromega. L'impressione è che abbia segnato la sua vita più lui di chiunque altro. "È stato fondamentale nella mia formazione. Mi ha sottoposto ad una gavetta durissima ancor prima che mi iscrivessi a Ingegneria. Mi ha insegnato il senso delle priorità nel prendere le decisioni. Ho visto che non si comanda con l'autorità, ma con l'autorevolezza e l'esempio. Era ossessionato dal dovere morale di dare lavoro. Le nostre discussioni politiche erano feroci". Suo padre? "Generoso, buono, straordinariamente sensibile e fragile. Mi manca più di quanto il dolore permetta a me stesso di sentire". E lei che padre sogna di essere per i suoi cinque figli? "Ha presente quei fiordi profondi sulle coste della ex Jugoslavia? Ecco, un rifugio aperto con mare calmo e pronto ad accogliere i figli prima o dopo i viaggi nei marosi delle loro esistenze". Quante volte ha votato Pci? "Mai. Anche se riconoscevo ai comunisti italiani una diversità rispetto al blocco sovietico". Lei ha frequentato il liceo Massimo. Come Draghi, Montezemolo, Abete, Rutelli... "Con Rutelli abbiamo lavorato insieme durante il suo primo mandato di sindaco. Un politico che ha dimostrato di amare sinceramente Roma". Ha frequentato anche il Collegio San Giuseppe dell'Istituto De Merode, scuola cattolicissima per famiglie ricche. Cattocomunismo alla romana. "Per la disperazione di mio nonno non sono mai stato comunista e la mia formazione è sempre stata laica e sinceramente anticlericale". Eppure lei ha fama di essere cattolico praticante. "La fede è il più grande dono che la vita mi abbia riservato". Cosa è la fede per lei? "Un viaggio dove anche nel buio si sopravvive grazie alla folle presunzione, tutta cristiana, di sentirsi personalmente amati da un Dio dal cuore umano, da sempre e per sempre". Tornando al profano, di lei a Roma si dice che sia il candidato di Caltagirone. "L'amicizia esiste solo nella libertà e nella autonomia reciproca. E questo è il nostro rapporto. La dimostrazione? Mentre attaccavo pesantemente Marino, Caltagirone in una intervista ne tesseva pubblicamente le lodi". Chi ha finanziato la sua campagna elettorale nel 2013? "Ahimé, è stata quasi tutta autofinanziata. Ad esempio con Caltagirone spesso scherzo ricordandogli che alla fine sono stato io ad investire in pubblicità sui suoi giornali. Negli affari è imbattibile". Lei è stato il pupillo di Enrico Cuccia. È stato lei a presentarlo a Massimo D'Alema quando era premier. I due si sono piaciuti? "C'era una stima reciproca". Il suo amico D'Alema odia cordialmente Renzi. Lei? "Non amo il buonismo, ma l'odio è un sentimento che non mi appartiene". Ha votato Renzi alle primarie del Pd? "Non ho votato alle primarie". Per chi voterà alle Politiche? "Ho grande nostalgia per il mio primo voto, quello che diedi al partito Repubblicano". Ha mai votato Forza Italia? «No, però nel '94 scommisi con Gianni Letta che Berlusconi avrebbe vinto le elezioni". Alla Leopolda di Renzi era presente tutta l'Italia che conta. Lei c'era? "No. Evidentemente non conto". Non è andato nemmeno alla cena organizzata dal Pd per finanziare il partito, dove l'avrebbero accolta a braccia aperte. "Non amo partecipare alle cene. A casa mi definiscono un orso poco incline alle mondanità". La prima cosa che farà se diventa sindaco della Città Eterna? "Mettere in sicurezza Roma e i romani". Le priorità della Capitale? "Sicurezza, lavoro e trasporti". Oggi il Campidoglio, domani Palazzo Chigi? "No, credo che la sfida non sia più tra Paesi, ma tra Stati-Continenti e grandi aeree metropolitane, ed è questa seconda sfida che mi affascina. Roma è unica e ha la grandezza nel suo Dna. Tornerà ad essere una regina e aiuterà l'Italia a rialzarsi". di Barbara Romano

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