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Gianfranco Fini, casa di Montecarlo: accusa più lieve. Il reato diventa concorso morale in riciclaggio

Cristina Agostini
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Gianfranco Fini comincia a sperare. Nel processo per la casa di Montecarlo insieme a Elisabetta e Giancarlo Tulliani, l'accusa di riciclaggio si fonda sul presupposto di una presunta e precedente corruzione, che però non viene contestata (anche perché sarebbe già prescritta). Secondo la tesi degli inquirenti, non serve provare la corruzione per dare legittimità al riciclaggio. Tanto che il sostituto procuratore Barbara Sargenti, rivela il Tempo, ha integrato il capo d'imputazione contestato a Fini, su richiesta dei suoi legali, facendo riferimento al suo "concorso morale" nel reato. Leggi anche: Attenzione al suo vitalizio. Clamoroso, Fini se la gode: quanto può incassare in più Insomma, il suo contributo al riciclaggio sarebbe consistito nel rafforzare le determinazioni di Corallo nel fornire aiuti finanziari ai Tulliani, facendo leva sul suo ruolo di politico di spicco. Per questo, secondo la Procura, i fratelli Tulliani e il padre sono riusciti ad avere e a mantenere rapporti economici con il "re delle slot", ricavando oltre 7 milioni di euro, senza fare nulla. Secondo gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno non ci sono prove della partecipazione attiva di Fini nel riciclaggio. E per quanto riguarda la casa di Montecarlo per i legali poteva trattarsi di un regalo fatto da Fini alla moglie, anche se era un bene di An. Resta il fatto che secondo il pm la manovra di occultamento usata per l'acquisto, attraverso i conti corrente offshore, dimostra la "coda di paglia" di Fini.

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