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Franca Leosini, la sentenza: "Sparare ai ladri in casa è un diritto. Terribile processare chi si è difeso"

Maria Pezzi
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La chiamano, amabilmente, la "Signora omicidi". Da sempre la caratteristica di Franca Leosini, classe '49, napoletana con ritmi di lavoro newyorkesi, è quella d' essere in grado di colloquiare con feroci serial killer mantenendo l' espressione imperturbabile di una signora inglese al tè delle cinque. Il suo Storie maledette su Raitre rimane un esempio pregiato di come debba essere scritta un' inchiesta. E parlo di scrittura, perché la Franca - reporter, estensore e sceneggiatore unico del suo programma - cesella le frasi, lima gli aggettivi, incatena i sostantivi ribelli. Non una parola fuori posto. Così è da una ventina d' anni, cara Franca Leosini. Sei una filologa dell' ammazzamento e della confessione. Un po' Camilla Cederna un po' Padre Brown, oserei. «Tu scherzi. Ma Storie maldette, in effetti, ha una sua precisa struttura narrativa. E io sono pignolissima; per fare al meglio una cosa ho bisogno di tempo, e questa mia creatura mi assorbe 10 ore al giorno (per questo non vado ai talk, non scrivo libri, non concedo di solito interviste). Certo, ho una redazione di una decina di persone. Ma ogni testo è scritto da me. Mi scrivo pure gli spot da sola. E, per dirti, quando scrivo ai miei interlocutori (non li chiamo "detenuti") per chiedere l' intervista, ogni lettera è manoscritta e sulla busta ometto la parola "carcere" o "casa circondariale"; il pc è freddo, e l' interlocuzione è empatia, è una questione di rispetto». Però. Tecnica d' altri tempi. E funziona? «Sempre. La controindicazione è che sono perennemente nelle carceri. È il motivo per cui Storie maledette ha vinto otto-nove premi e la metà non li ho ritirati -credimi non è snobismo- per questione di tempo. Vivo una vita monacale». Storie maledette è in progressione spaventosa di ascolti e critica da vent' anni. Ma come sei arrivata fin qui? «Ti correggo, gli anni sono 24, per la precisione. Prima ero all' Espresso. Me ne andai in polemica col direttore Nello Ajello che censurò un mio reportage sull' editoria barese. Criticai l' editore Laterza; Nello Ajello era un suo autore, e pretendeva di cambiare il pezzo. Da lì mi notò Angelo Gugliemi, allora direttore della grande Raitre. Per Telefono Giallo condotta da Augias mi chiesero di occuparmi dell' omicidio di Anna Grimaldi, nobildonna, amante del giornalista del Mattino Ciro Paglia, da Napoli. Era roba mia. Da lì approdai a Raitre». Tu stessa sei una nobildonna partenopea, laureata in filologia romanza, hai fatto la direttrice di Cosmopolitan e un' indimenticabile intervista a Sciascia sulle donne di mafia. Non ti sei un po' stufata di correre dietro ai delittazzi, ai mostri delle porta accanto? «No. La mia è passione che mi divora, credimi. E, bada, a me l'intelligenza dell'indagine interessa fino a un certo punto. Io voglio capire le emozioni umane: perché una persona normale come me e te, ad un tratto, si rende colpevole di delitti efferati, di orrori che mai avrebbe pensato di commettere. Studio i casi come un chirurgo davanti al tavolo operatorio. E non studio mai i killer professionisti». Scusa, ma non hai intervistato Fabio Savi, tre ergastoli per i 24 omicidi della Uno bianca... «Tranne Fabio Savi. Mi mandò una lettera, voleva parlarmi. Mentre registravamo per la tv, fui molto dura con lui; gli ricordai che suo padre, probabilmente per la vergogna dei figli, si suicidò in una Uno bianca. Lui si mise a gridare. Poi gli lessi un brano della sua lettera, dove confessava i rimorsi per gli omicidi divenuti incubi. Lui bloccò subito la telecamera e mi chiese di tagliare quella parte del dialogo: aveva prodotto troppo male e dolore, non voleva poter apparire sotto un lato più umano. Fu, a suo modo, un gesto che denotava un codice d' onore seppur criminale». Torno alla scrittura. Sei nota per il tuo lessico immaginifico. Anche troppo. Cito a caso alcune tue frasi: "Questuante dell' amore", "Ivano, bello che Brad Pitt al confronto era un bipede sgualcito". "Ardori lombari" per un amplesso che è rimasto a metà. Ma, dimmi, le ricerchi apposta? «Io le parole non le uso, le posseggo. Sono state fatte anche tesi di laurea sul mio lessico. Una ce l' ho qui sulla scrivania: "Franca Leosini, linguaggio e stile". E poi, come napoletana, sono visionaria. Quando penso al ragazzo di Sabrina Misseri, Ivano, che fa sesso, io vedo proprio il sedere che fa tuc tuc, e la parola evocata è "ardori lombari". Per spiegare il lieve sfaldamento epiteliare -scusa la brutalità- nella vagina di Meredith Kercher ho usato "dito birichino" riferito a Guede, che è diventato virale. Il bello è che i "leosiners", i miei fan, sono tutti giovani. Non me lo spiego, non sono Belen». Un congiuntivo storto ti fa soffrire? «Sì, è uno schiaffo in faccia. Penso a Di Maio, ma poi mi convinco che è più importante quello che fa, non quello che dice. Deve esserlo». A proposito di politica. La maggioranza rischia di dividersi riguardo alla legge sulla legittima difesa. Come la pensi? «Questione controversa. Premetto che avere armi da fuoco in casa è sempre pericoloso (anche se gli omicidi avvengono con le forbici, o i coltelli). Ma credo che chi si ritrovi un ladro in casa e spari, abbia il diritto di farlo, specie se in pericolo di vita. E l' idea che chi ha sparato per difendersi possa essere processato per omicidio, mi terrorizza. Certo, se il ladro scappa e gli spari alle spalle cambia tutto. Ma in genere mi inquieta la discrezionalità del giudice». La discrezionalità dei magistrati nell' applicazione della legge è comunque un vecchio refrain. «È un punto nevralgico, ne abbiamo parlato proprio con Paolo Mieli che mi intervistava al Festival di Spoleto. Io credo nell' autorità giudiziaria e rispetto la legge. Ma in 24 anni di Storie maledette mi colpisce la disparità di valutazione dei giudici a parità di reato. È vero che i crimini non sono mai sovrapponibili; però non capisco perché a Parolisi che ha ucciso la moglie con 29 coltellate hanno ridotto la pena a 18 anni (le 29 coltellate non sono "crudeltà") e per Cosima e Sabrina Misseri, che hanno ucciso Sara Scazzi senza premeditazione né vilipendio del corpo, c' è stato l' ergastolo. Sul libero convincimento dei magistrati avrei molto da dire...». Per approfondire leggi anche: MInistro Bonafede: "La Legittima difesa è una priorità" Hai intervistato centinaia di assassini. Ogni spettatore se ne ricorda uno. A me, per esempio, rimase impresso il "collezionista di anoressiche", quello con metà volto glabro e metà peloso. A te? «Quello era Marco Mariolini, uno dei miei primi casi. Matteo Garrone mi è ancora grato per averne tratto il film Primo amore, così come sul mio caso del "Nano di Termini" trasse L'imbalsamatore. Ma io ne ricordo altri. La Guerinoni. O Stefania Albertani, la Rom che arse viva la sorella. Al mio incontro con lei, dietro lo specchio, assistevano lo psicologo e lo psichiatra e si stupirono di come, dal mutismo cominciò a raccontare i dettagli dell' omicidio, da quando la drogò per poterla bruciare. Con Mary Patrizio, invece, che mi raccontò di come affogò il bimbo piccolo, a telecamere spente, piansi come un vitello, mi consolò la madre assassina. Poi c' è Rudy Guede del caso Meredith». Di Guede, non hai detto che ti scrive ogni settimana? «Nel caso di Guede c' è un incongruo giuridico: è condannato per concorso in omicidio con Amanda Knox e Sollecito. Dalle indagini è accertato che non ha usato il coltello su Meredith. Amanda e Sollecito sono stati assolti; ma allora non esiste il concorso. Da quando mi sono occupata del caso, la gente si è accorta che Rudy non è solo il "povero negro" che temeva d' essere di fronte alla giustizia italiana, ma un ragazzo intelligente, colto, che s' è laureato e gode, dal carcere, di permessi speciali (e qui la Franca declama, teatralmente, il dispositivo della sentenza a memoria, come un brano dell' Ariosto, ndr)». Quando intervisti i tuoi "mostri" dai l' idea di una lama di ghiaccio. Sei davvero così impassibile? «Io interrogo gli interlocutori anche per 5 ore di seguito in una sorta di diretta-differita in cui loro finiscono col non accorgersi delle cinque telecamere che li circondano. Ed è uno sforzo fisico e psicologico, ti assicuro, questo lento accompagnarli nell' inferno del loro passato. Sì, soffro». Non ti chiedo di tuo marito che lavora nella finanza e nemmeno delle due tue figlie ormai grandi, perché tanto sul privato non mi risponderesti... «Infatti». Ma, dopo tutti questi anni, qual è il ricordo che è rimasto in assoluto il più vivido nella tua memoria? «Quando co-condussi con Augias per la prima volta Telefono Giallo. Vidi Guglielmi nell'ombra, che sorrideva. In seguito, gli proposi un programma che desse la lettura dell' Italia attraverso il delitto, Storie maledette, appunto. "Il nome mi piace", mi disse Guglielmi, "voglio vedere cosa cui metti dentro". Ci ho messo ventiquattro anni di amore feroce e di storia di una nazione. Ho ottenuto qualche risultato, non parlo di "successo". E sono ancora qua».  di Francesco Specchia

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