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Paolo Becchi, l'allarme rosso: perché con il ministro Tria l'Italia non reggerà l'attacco finanziario

Giulio Bucchi
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Una cosa comincia ad emergere in modo sempre più evidente. Questo governo non è formato da due forze politiche ma da tre. C' è la Lega di Salvini e il M5S di Di Maio, e poi c' è il partito del Presidente della Repubblica. Un ministro degli esteri, Enzo Moavero Milanesi, che se ne è uscito con una battuta da tifoso sulla crisi della Lira turca ammonendo gli anti-euro e un ministro dell' economia, Giovanni Tria, che è diventato una specie di "terza gamba" del governo, quella appunto di Mattarella, cioè della Ue. Se su Moavero sorprese non ce ne sono, tant' è che è già stato ministro del governo Monti e piazzato in questo esecutivo da Mattarella per rassicurare l' establishment internazionale, su Tria occorre dire qualcosa di più. In una intervista di qualche giorno fa il ministro dell' economia, che - ricordiamolo - è stato "imposto" dal Capo dello Stato che non voleva Paolo Savona in via XX Settembre, ha dichiarato che è possibile dar vita a flat-tax e reddito di cittadinanza già a partire dal 2019, quindi con la legge di bilancio da approvare entro la fine di quest' anno. Il tutto, a dire di Tria, all' interno dei parametri europei. La cosa ci suona strana. Vediamo perché. I famigerati parametri europei non sono più quelli di Maastricht e Lisbona, trattati istitutivi della Ue che prevedono ad esempio il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, bensì quelli del Fiscal Compact, cioè pareggio di bilancio (quindi zero spesa a deficit) e riduzione a ritmi serrati del rapporto debito pubblico/Pil. Come si fa dunque ad attuare misure come flat-tax e reddito di cittadinanza se dobbiamo rispettare certe regole, che lo stesso Tria dice che verranno scrupolosamente osservate? Ed ecco il gioco delle tre tavolette del Ministro dell' economia. Da un lato vorrebbe intervenire sul cuneo fiscale rivedendo a ribasso i famosi 80 euro di Renzi (circa 10 miliardi l' anno), dall' altro chiedere alla Ue una maggiore flessibilità, ma si tratta di briciole. Il governo Gentiloni aveva previsto per il 2019 un contenimento del rapporto deficit/Pil entro lo 0,8% (cioè verso il pareggio di bilancio), mentre Tria vorrebbe arrivare all' 1,4%. Un po' di ossigeno per non morire, ma pur sempre sotto il 3% e comunque una misura non sufficiente per portare a pieno regime il reddito di cittadinanza e la flat-tax. Quello che Tria vorrebbe fare è solo uno spostamento di risorse da questa a quella voce di spesa, senza tenere conto di quanto previsto dal "contratto di governo", che al capitolo "debito pubblico e Pil" prevede espressamente la ridiscussione dei Trattati europei e un appropriato ricorso al deficit. Se anche Tria riuscisse ad ottenere maggiore flessibilità dalla Ue per uno 0,6% in più, il Paese sarebbe in ogni caso obbligato a restare addirittura sotto i parametri di Maastricht e Lisbona. Occorrerebbe invece maggiore coraggio e fare ciò che Francia e Spagna hanno fatto per anni (la Spagna lo fa ancora), cioè sforare il tetto del 3% e portare a compimento tutte le riforme previste dal "contratto di governo", compreso il superamento della legge Fornero sulle pensioni, promesso sia dalla Lega che dal M5s. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti ha dichiarato ieri che «a fine agosto i fondi speculativi ci aggrediranno, può accadere quello che è successo a Berlusconi sette anni fa. E l' opposizione, in crisi, farà di tutto per saltarci addosso». Crediamo che Giorgetti abbia ragione. Ma ci permettiamo di aggiungere: con Moavero Milanesi alla Farnesina e Tria all' Economia saremo in grado di resistere all' attacco? di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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