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Paragone contro il Corriere della Sera: "Ecco perché mi fa la guerra"

Ignazio Stagno
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Se Beppe Grillo, col suo modo di fare mai vellutato, punta l'indice contro i giornalisti, si scatena l'iradiddio. Se invece lo fa Aldo Grasso, è lecito. Perché è un critico televisivo. È capitato al sottoscritto. Ieri, lo storico osservatore della tv italiana nonché ex indimenticabile direttore di RadioRai in quota Spirito Santo, ha di fatto invitato l'editore di La7 (quindi il mio editore) a sbarazzarsi al più presto di me. Testualmente: «Quando seguo La Gabbia penso a Urbano Cairo. In otto anni di presidenza del Toro (Grasso è tifoso granata. Ma di questo, io che sono un tifosaccio juventino, non  ho mai fatto una colpa né a Cairo né a mia moglie, quindi nemmeno all'Aldone, nda) ha capito che per vincere qualcosa bisogna aspirare al meglio: tenersi i giocatori di talento, cercarne altri di classe, crescere giovani coltivando il loro estro». Siccome, pur avendo io grande estro non sono più un giovane, deduco che Grasso non stesse parlando di me come talento da tenere. E se uno non va tenuto, va cacciato. Andrei venduto perché varrei meno di D'Ambrosio,  un giocatore passato dal Torino all'Inter per una cifra di tutto rispetto. Vabbé, deliri calciofili a parte, Grasso si crede talmente Aldissimo da infilare il naso in casa d'altri: Cairo, molla Paragone. Scaricalo, «è un populista». Ecco lo spirito liberale del Corriere, giornale che un tempo difendeva lo spirito voltairiano per cui «Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu possa esprimerla». Che Grasso voglia, debba o possa dare la vita per difendere il mio diritto di parola francamente sembra eccessivo anche a me che ho un ego assai ingombrante; diciamo che basterebbe cambiare canale e Voltaire sarebbe salvo comunque. E sarebbe salvo pure se il tuttologo si limitasse a una durissima critica del programma: in fondo lo pagano da anni per fare solo questo. Il fatto è che oltre alla critica, Grasso ci aggiunge l'edittino di via Solferino: Paragone non va tenuto, caro Cairo, Paragone va cacciato e La Gabbia va chiusa. Capito? Se un grillino brucia il libro di Augias, il club Amici degli Amici richiama pericoli e tentazioni naziste. Se invece Aldo Grasso invita un editore a chiudere un programma e cacciare un giornalista, nulla di grave. Quello si può fare.  Purtroppo per lui, Cairo è un imprenditore che guarda al sodo e il sodo - cioè lo share della Gabbia - centra perfettamente l'obiettivo dell'editore e il target commerciale della rete. È stato lo stesso a Cairo a dirlo nel bilancio di fine anno. Ecco perché l'invito a chiudere la mia trasmissione puzza di manganello e olio di ricino (che goduria poter parlare come gli amici di Augias o come la Boldrini!). La verità è che all'amico Fritz e all'allegra brigata del Corriere non va giù che stiano aumentando i megafoni del dissenso. Non va giù che la «pancia del Paese» abbia di nuovo voce. Non va giù se qualcuno osserva senza pregiudizio il movimento 5 stelle così come un tempo incuriosiva la Lega. Lo ha detto bene Enrico Mentana l'altro giorno: è una battaglia tra due posizioni culturali, quella snob salottiera e sinistrorsa da una parte e quella più movimentista e moderna dei grillini. Cos'è che non va bene a Grasso e ai Corrieristi (Battista e Polito in testa)?  Non va che qualcuno abbia intuito  la pericolosità dell'austerity prima degli altri, non va che l'euro sia messo fortemente in discussione. E soprattutto non va che in televisione, in prima serata, un pessimo personaggio (il sottoscritto) «dia i voti alla Boldrini e a Napolitano»! Ecco qual è il punto: l'attacco al Palazzo più intoccabile. L'attacco a Re Giorgio. Guai a chi tocca il Capo dello Stato, guai a chi mette in discussione il suo profilo. Pigi Battista è incaricato di  bastonare il Fatto Quotidiano; Aldo Grasso La Gabbia. Così, ad minchiam, come avrebbe detto il professor Scoglio. «Quando vedo La Gabbia sto male»,  scrive il mai rimpianto ex direttore di RadioRai in quota Spirito Santo, «perché mi dispiace non poco vedere a quali bassezze linguistiche può arrivare un programma quando si dà sfogo alla famosa pancia del Paese». Tu guarda, povero Aldone: lo infastidisce la pancia del Paese, gli muovono disturbo le storie dei lavoratori licenziati, gli dà noia l'incazzatura dei piccoli imprenditori alle prese con uno Stato sleale e folle. Ci sono imprenditori e lavoratori che arrivano a togliersi la vita, ci sono file lunghissime alle mense dei poveri, ci sono presidi senza sosta davanti a fabbriche, e Aldo Grasso è talmente imbalsamato da credere che sia una trasmissione televisiva ispirata ai peggiori bar di Caracas (meglio che al mortorio di via Solferino….) a creare scompiglio. Insomma, sarebbe la tv a generare la crisi sociale in corso.  Povero Aldo, c'è da capirlo: passare tutto il giorno davanti alla tv non aiuta. Però, va ammesso, fa bene al portafogli. Il suo.  di Gianluigi Paragone

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