Divo

Giulio Andreotti, diari e segreti di Stato: la foto scandalosa e censurata di Papa Wojtyla in piscina

Salvatore Dama

Chi è Giulio Andreotti? Se lo chiedi all'adolescente medio, probabilmente risponderà roteando gli occhi e prendendosi un tempo x per cercare su Google. I più informati, invece, condizionati da certa narrativa e filmografia, lo accosteranno ai processi per mafia che lo hanno visto coinvolto nell'ultima parte della sua vita. In realtà Andreotti è stato (anche) altro. Presidente del Consiglio per sette volte e ministro per trentadue. Un record ineguagliato. E, forse, ineguagliabile. Nel tentativo di storicizzare la figura politica del Divo Giulio, i figli Serena e Stefano hanno autorizzato e curato la pubblicazione dei Diari segreti paterni, compresi tra il 1979 e il 1989 (Edizioni Solferino, 19 euro). Il titolo è un filo enfatico. I "segreti" di Andreotti - ammesso ve ne siano - riposano con lui dal 2013, anno della dipartita. I "Diari" sono appunti, anche gustosi per nostalgici della Prima Repubblica, ma non sono destinati a cambiare la lettura della storia. Per come ci è stata raccontata. Niente giudizi sprezzanti, niente narcisismo, niente verità svelate o esoterismi. Sono frasi. Messe giù su carta per fare memoria all'autore di fatti e personaggi. Ma sempre in stile andreottiano. C'è un velo di ironia, però nulla di pruriginoso nelle descrizioni. Soprattutto appartengono a un'altra epoca. Analogica. Senza pc, senza telefonini, senza Whatsapp, senza note vocali e senza tutto l'ambaradan che abbiamo oggi per tenere archivio dei nostri pensieri. Meglio, peggio? Chi lo sa.

 

 

 

Apparato di Stato - Ripercorrendo quella storia, si ha la sensazione di leggere delle cronache marziane se rapportate all'oggi. La Democrazia cristiana, a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, era di fatto un apparato dello Stato. Qualcosa di inusitato rispetto alla volatilità dei partiti contemporanei. E l'epicentro della Dc, a prescindere da chi si alternava alla segreteria, era Andreotti. Dal suo studio passavano tutti. Da Gianni Agnelli all'ultimo questuante ciociaro del suo collegio elettorale. La narrazione dei Diari si sofferma soprattutto sulle relazioni internazionali andreottiane. Uno, perché, in quegli anni, il Divo fu prima presidente della Commissione Esteri di Montecitorio e poi titolare della Farnesina; Due, perché - comprensibilmente - gli eredi hanno voluto puntare sulla caratura transnazionale di Andreotti, finita tra parentesi, nei decessi successivi, a causa delle vicende giudiziarie. Andreotti - spiegano i figli - «aveva preso l'abitudine a prendere appunti personali già nel 1944 su consiglio di Leo Longanesi». Questo per tenere memoria delle proprie riflessioni a distanza di tempo, quando gli capitava di incontrare le stesse persone o di rivivere le stesse situazioni. Emergono i rapporti stretti con la curia romana, di cui Giulio era la quinta colonna al di qua del Tevere. Sono annotate le visite continue di cardinali a casa. Al riguardo, sono interessanti due aneddoti. Quando Andreotti si adopera per evitare che escano sulla stampa le foto di Giovanni Paolo II in piscina. E quando il politico dc si preoccupa della sicurezza del Pontefice, condividendo sue informazioni riservate su un possibile attentato dei terroristi armeni. È il settembre 1980. Di lì a poco l'aggressione al Santo Padre ci fu davvero, nel maggio del 1981, ma a opera di Ali Agca, un turco. Andreotti, nei suoi appunti, si lamenta di quanto la politica italiana fosse concentrata sul proprio ombelico. Sulle faccende domestiche. A un ricevimento con il premier greco Karamanlis, ricorda nel diario, nessuno sembrava interessato all'ospite d'onore. Si ritrovarono tutti attorno al Divo Giulio per parlare di affari interni. Emerge una passione ossessiva per la politica (e per il potere). La cura del collegio elettorale. Andreotti passava da un vertice internazionale a una riunione con gli elettori di Frosinone. Così, senza fare una piega. Giulio, in quegli anni, è il pivot della politica. È un riferimento, a prescindere dal ruolo ricoperto. Tutti lo cercano. Uomini di partito, funzionari, esponenti della società e del mondo economico, cardinali. Il Divo è un passe-partout per chiunque voglia interagire con la Dc. E dunque con il potere. Andreotti annota le visite regolari che riceveva da Gianni Agnelli; le relazioni continue con Berlinguer e il Partito comunista. Il cui tramite spesso è il catto-comunista Adriano Ossicini. Segue con interesse morboso i rapporti tra Pci e Mosca, parla con gli ambasciatori sovietici a Roma e incontra dirigenti dell'URSS. Nota subito con interesse l'ascesa di Gorbaciov. Andreotti è inoltre il tramite dei messaggi che gli americani vogliono recapitare al mondo arabo. Qua e là si trova anche un po' di aneddotica divertente. Il Capo dello Stato Sandro Pertini, ad esempio, che definisce Fanfani «il sempre più piccolo». L'ira verso il Messaggero che attribuisce ad Andreotti una villa a Gaeta. Il pregiudizio verso gli avellinesi come De Mita («Se dai loro un dito, si prendono tutto»), l'incontro con Beppe Grillo per il Telegatto e un pranzo da Gianni Letta finito in tragedia: «Un crampo allo stomaco mi obbliga a chiamare il mio medico curante»...