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Giovanni Orsina, centrodestra verso la sconfitta: "Dividere al vertice ciò che è unito alla base"

Antonio Rapisarda
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Se si chiede a Giovanni Orsina, storico e direttore della Luiss School of Government, di ragionare sul centrodestra - prima coalizione secondo tutti i sondaggi, al governo nella maggioranza delle Regioni ma che se si votasse oggi rischierebbe seriamente di perdere perché al momento diviso - non usa mezzi termini: «E' il paradosso di una situazione nella quale il risultato è stato dato un po' per scontato. Un errore madornale. Perché il risultato non era neanche acquisito prima della pandemia: figuriamoci dopo la guerra in Ucraina...».

Professore, lo insegna lei: la politica è sempre più "fluida".
«Già. Nessun risultato elettorale è predeterminato tre settimane prima.
Figuriamoci tre anni prima. Cominciare quindi a battibeccare su chi è il primo di una coalizione vincente molto prima che si possa dire che quella coalizione è vincente è la ricetta perfetta per avere in mano una coalizione perdente. O una non-coalizione.


 

 

Fra gli elettori di centrodestra non si percepiscono idiosincrasie. Il blocco sociale è granitico. Eppure i leader non si parlano quasi più.
«Questo è un altro dei paradossi. Dal '94 ad oggi la grande forza della destra italiana è stata da un lato la compattezza dell'elettorato, dall'altra parte la forza attrattiva di Berlusconi. Penso che questa unità elettorale ci sia ancora. Per questo dividere al vertice ciò che è unito alla base è la ricetta per una sconfitta. A meno che non ci siano in realtà delle strategie diverse che non passano per l'unità del centrodestra...»

È proprio il dubbio di Giorgia Meloni rivolto agli ex alleati: «Non so se vogliono un governo di centrodestra».
«Questa ipotesi c'è. Berlusconi è sempre stato molto convinto della necessità di tenere unita la destra e che il bipolarismo sia stato il suo più grande regalo all'Italia. Però è un signore di 86 anni e dentro FI sappiamo che ci sono sensibilità diverse: una parte è legata al progetto originario, un'altra invece guarda verso esiti neocentristi».

E Salvini?
«E' difficile capire se abbia una strategia, e quale. E' molto oscillante. Come da tradizione italiana, la strategia potrebbe essere quella di giocare sui proverbiali due forni - o a destra con Meloni, o verso una riedizione delle larghe intese -, riservandosi di scegliere più avanti secondo convenienza. Certo, bisognerà vedere se si cambierà il sistema elettorale: questa è la cartina di tornasole dell'ipotesi "larghe intese". Ma lo scopriremo solo a fine anno, più a ridosso del voto».

 

 

Di questo passo alle Amministrative - e poi alle Regionali in Sicilia, ultimo appuntamento prima delle Politiche - si rischia l'harakiri.
«Un'altra sconfitta certamente creerebbe una spinta inerziale verso i sostenitori della transizione a un altro modello rispetto a quello dell'alleanza di centrodestra. Anche se la verità è che il centrodestra ci ha mostrato spesso di avere una sbalorditiva capacità di farsi del malissimo ma poi, due mesi prima delle Politiche, chiudere tutta la partita e rimettersi insieme».

Resta il nodo della leadership. Per Alessandro Sallusti uno dei problemi è che i due patriarchi non intendono cedere l'eventuale scettro alla leader di FdI.
«Un problema è sicuramente questo. Loro però risponderebbero: lei non lascia spazio. Ciascuno ha le proprie ragioni. Certamente Berlusconi è uno che non intende cedere lo scettro mai. Per Salvini, poi, cederlo sarebbe una tragedia. Perché a un certo punto - nel 2019 - ha avuto veramente il traguardo a portata di mano: per lui, anche psicologicamente, è particolarmente difficile. Detto questo, Meloni non è proprio un osso tenero: è una che i suoi spazi li difende con un certo puntiglio».

 

 

È il momento della pozione magica. «Immaginare un percorso di convergenza serio, anche conservando i partiti separati, in cui si ripensi alle ragioni per le quali si sta insieme - e ce ne sono tante - con la volontà di tenere in piedi una coalizione nella quale la politica deve comunque prevalere sulle pur legittime ambizioni personali. Anche perché dubito fortemente che, pure se la destra dovesse vincere le elezioni, l'incarico di formare un governo possa essere assegnato a Meloni o a Salvini».

L'odioso vincolo esterno trionferà?
«Piaccia o no, i vincoli internazionali oggi più che mai sono strettissimi. E il Capo dello Stato, cui spetta nominare il Presidente del Consiglio, ne è il garante. Ciò significa che alla fine potrebbe comunque prevalere una figura terza: un tecnico d'area. Tuttavia, in un centrodestra vincente ci sarebbe spazio per tutti. Meglio essere il secondo di uno schieramento che vince che essere il primo di quello che perde, in definitiva».

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