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Berlusconi, da "abbronzato" a "kapò": come ha fatto impazzire la sinistra

Massimo Arcangeli
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Mi consenta, cribbio: l’Italia è il paese che amo. Fin dalla sua “discesa in campo” (26 gennaio 1994), quando, con uno smagliante sorriso e un innegabile fascino, annunciò dal piccolo schermo il suo ingresso trionfale nell’arena politica, Silvio Berlusconi si è dimostrato personaggio anche per tante parole, espressioni o intere proposizioni poi trasmigrate dalla cronaca alla storia. Come quando definì abbronzato Barack Obama all’indomani della vittoria elettorale (4 novembre 2008) per il suo primo mandato presidenziale. O quando bollò stizzito come turisti della democrazia gli europarlamentari socialisti a Strasburgo, durante una seduta del Parlamento europeo (2 luglio 2003), dando del kapò al loro capogruppo, il tedesco Martin Schulz: «Signor Schulz, so che in Italia (…) c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti. La suggerirò per il ruolo di kapò».

 

 

PRESIDENTE OPERAIO
Ben conscio del potenziale pubblico della sua figura di imprenditore di successo, Berlusconi ha inciso fortemente anche sulla virata economica del linguaggio politico dell’ultimo trentennio. Si sia riconosciuto nel ruolo di un presidente operaio, o abbia paragonato un primo ministro a una specie di «amministratore delegato dell’azienda Italia» (salvo attribuire l’etichetta di azienda a una città o a un partito). Si sia detto sbucato fuori dalla trincea del lavoro, al fine di poter raddrizzare la politica. Si sia mostrato impegnato a firmare in tv un contratto con gli italiani o abbia tirato fuori dal cilindro quei promotori della libertà che suggeriscono promotori di altro genere (finanziari o d’impresa). Il Cavaliere ha indossato perfino i panni del martire innocente. Come nel comizio bresciano che tenne l’11 maggio 2013, con l’evocazione dell’apostrofe ammonitrice di Enzo Tortora ai suoi giudici e conscio di essere tornato intanto a nuova vita.

 

 

Allora il filosofo Aldo Masullo, ospite a Ballarò, paragonò la manifestazione di Brescia a una sceneggiata napoletana. A me pare si sia allora recitata, su un palcoscenico ben più ampio,la versione tardo-moderna di una sacra rappresentazione, anche se gli ingredienti per una sceneggiata c’erano tutti, dai frizzi verbali di sostenitori («Giù le mani da Berlusconi»; «Silvio sposami»; «Tu trasmetti energia loro tristezza») e oppositori («Vergogna»; «Ci Ruby la dignità»; «Hai le orge contate») alle comparsate complici degli attori politici e alle risposte “spettacolari” di alcuni di loro: Formigoni che salutava sorridente, dritto sul predellino dell’auto che di lì a un momento l’avrebbe condotto via, mentre gli piovevano addosso urla, fischi, insulti e piccoli oggetti; Brunetta che avanzava tra la folla con passo sicuro, scortato dai suoi uomini e dalle forze dell’ordine, col braccio sinistro alzato e l’indice e il medio a fissare nell’aria la V di vittoria.

IL CUCÙ ALLA MERKEL
A Brescia sembrò di assistere a un esempio di quel medievale teatro dei misteri i cui riti si consumavano sul sagrato delle chiese, su palcoscenici allestiti allo scopo, e si giocavano sulle cornici multiple che circondavano la scena centrale, avvicendandosi spesso il Paradiso e l’Inferno. Nel nostro caso, un po’ più banalmente, s’assistette alla polarizzazione drammatica fra chi osannava il Cavaliere immortale e chi gli gridava contro Crucifige. Non solo vocaboli,frasi, locuzioni, in qualche caso divenute proverbiali,ma anche gesti, pose, siparietti. Come quando fece le “corna”a Caceres, nella tradizionale foto di gruppo, nel corso di un vertice dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea (8 febbraio 2002). O quando sbucò da dietro un pennone portabandiera per fare “cucù” ad Angela Merkel – «Sono qui», disse alla cancelliera – in un summit italo-tedesco (Trieste, 18 novembre 2008). O quando, ospite di Michele Santoro a Servizio pubblico (LA7), spolverò e subito dopo passò il suo fazzoletto sulla sedia da cui si era appena alzato Marco Travaglio per pulirla prima di sedersi (10 gennaio 2013). Colpathos di un linguaggio – verbale e non verbale – manicheo e “irrazionale”, e una visionaria sospensione dalla realtà intesa a impedire di smettere di sognare, Silvio Berlusconi ha provato a (far) credere fino all’ultimo nella ma in promise di una palingenesi, libera dalle fumose menzogne della vecchia politica. Fra gli strumenti al suo servizio i continui strappi all’etichetta e le ritualizzazioni; le affermazioni inoppugnabili e i toni al calor bianco; la ricerca dei bagni di folla e i tentativi di “pubblicitaria” seduzione dei convenuti alle varie manifestazioni; gli affondi spiazzanti, fumantini o irriguardosi. In cimaa tuttoilleaderismo sciamanico (o totemico) da quell’Unto del Signore che, dato per morto infinite volte, altrettante volte è risorto. 

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