Cari lettori, circa un anno fa, nell’articolo del 15 novembre 2022, ho affrontato il tema degli NFT. Allora si trattava di un fenomeno nuovo che sembrava rappresentare uno sviluppo interessante degli investimenti legato al settore delle cryptovalute. Per quelli meno avvezzi a questo mondo, brevemente rispiego di cosa si tratta: NFT è l’acronimo di “non-fungibile token”, cioè un “codice digitale non riproducibile” che stabilisce l’atto di proprietà e la certificazione di autenticità di un elemento virtuale. Gli elementi che vengono messi sul mercato attraverso questa tecnologia possono essere infiniti: dipinti, capi di alta moda, scarpe, collezioni di designer: ma tutto virtuale. Un artista realizza un’opera, ne fa una copia digitale e ne mette in vendita solo il codice identificativo, che per quanto non riproducibile da altri, rimane pur sempre una proprietà virtuale.
CRIPTOVALUTE
L’opera vera rimane di proprietà dell’artista. Un fenomeno senza dubbio interessante, che in quel periodo aveva attratto parecchi investitori, facendo toccare cifre milionarie agli NFT messi in vendita. Probabilmente, trascinati anche dal successo delle criptovalute come i Bitcoin, molti speculatori avevano intravisto in questo fenomeno una nuova possibilità speculativa. Analizzando più attentamente il sistema però vi segnalai alcune criticità legate alla fragilità delle piattaforme che si interessano di generare e custodire questi “codici”, a ciò si aggiunge il fatto che da una sola opera si potrebbero creare infiniti file, difficilmente controllabili nelle quantità esatte. Personalmente nutro sempre una certa diffidenza quando un fenomeno sembra pensato per assorbire valuta reale e rilasciare valori esclusivamente virtuali. Mi sembrò evidente, a quel punto, che ci si stava muovendo sulle sabbie mobili.