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Alain De Benoist, il filosofo: "Nelle guerre di oggi la pace è impossibile"

Lorenzo Cafarchio
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Uno dei filosofi francesi più dibattuti di questi anni, Michel Onfray, lo ha definito come l’uomo più dotto che abbia mai conosciuto. Parliamo di Alain de Benoist, pensatore e agitatore culturale mastodontico che ha attraversato la seconda metà del ’900 per arrivare ai giorni nostri. In un libro di quasi vent’anni fa edito da Settimo Sigillo - “Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico” - Costanzo Preve ha descritto il fondatore della Nuova Destra come un intellettuale con idee di sinistra e valori di destra. In questi giorni, esattamente lunedì scorso, ha compiuto 80 anni e per questo lo abbiamo raggiunto per parlare di Europa, di idee e di futuro.

Lei scrisse “Ripensare la guerra. Dallo scontro cavalleresco allo sterminio di massa” (con la traduzione italiana di Marco Tarchi). Alla luce di quanto successo sull’asse russo-ucraino e sulla storia infinita tra palestinesi e israeliani come si evolve il mondo attraverso i suoi conflitti?
«Le due guerre attualmente in corso in Israele e in Ucraina, una tra israeliani e palestinesi e l’altra tra la NATO e la Russia, hanno la caratteristica comune di essere guerre esistenziali, e quindi anche guerre di identità. Nella Palestina occupata, si è aggiunta una dimensione religiosa e messianica che rende ancora più improbabile la possibilità di raggiungere una soluzione politica negoziata per porre fine al conflitto. Si tratta inoltre di guerre tipicamente moderne, nel senso che non sono più guerre justus hostis, in cui i belligeranti possono un giorno diventare alleati, ma guerre justa causa, in cui il nemico è fin dall’inizio squalificato come un criminale che deve essere non solo sconfitto, ma anche definitivamente sradicato. La guerra discriminatoria è una guerra del Bene contro il Male. Ogni mezzo necessario per vincere la guerra diventa legittimo. Una delle conseguenze più disastrose di questo sviluppo è che diventa quasi impossibile per un terzo adottare una posizione di neutralità che gli consenta di offrire una mediazione senza essere sospettato di complicità con una delle parti coinvolte».

 

 

 

Sull’aspetto sociale e politico il suo testo del 1985, “Democrazia: il problema” è ancora attuale. Come si sono evoluti, negli ultimi 40 anni, i sistemi politici europei e mondiali?
«La principale caratteristica attuale del sistema politico europeo, a livello globale, è la crisi diffusa della democrazia liberale, che dovrebbe essere una democrazia rappresentativa, ma in cui i cittadini si sentono sempre più spesso non rappresentati. Questo spiega il graduale declino dei vecchi “partiti di governo” a favore di nuove formazioni più atipiche, nonché l’ascesa del populismo (che non è un’ideologia, ma uno stile che può essere associato a ideologie molto diverse). Anche l’aumento dell’astensione e la sfiducia nella vecchia classe politica sono conseguenze di questa crisi della democrazia liberale, che si accompagna a una crisi economica e finanziaria, demografica, ecologica, intellettuale e morale. Il panorama politico non è più strutturato orizzontalmente, lungo la vecchia divisione sinistra-destra, ma verticalmente con le classi lavoratrici e le élite in opposizione».

“Oltre i diritti dell’uomo. Per difendere le libertà”, sulle note di questa pubblicazione è ancora possibile, citando Pierre Chanu, affermare il noi delle comunità contro il dispotismo dell’Io?
«In linea di principio, sì. E personalmente, nella tradizionale opposizione tra comunità e società, un tempo teorizzata da Ferdinand Tönnies, sono inequivocabilmente dalla parte della comunità. Oggi, però, le cose si stanno complicando, con l’emergere di “comunità” più o meno artificiali, come la “comunità LGBT”, e di un “comunitarismo” che non ha più a che fare con lo spirito comunitario, ma rappresenta piuttosto una forma separatista di secessione, che contribuisce alla dissoluzione dei legami sociali organici e alla dissoluzione della società politica in un contesto di generale aumento del caos».

Torniamo al Salone del Libro. Alla luce delle polemiche che l’hanno colpita (la sua presenza era stata contestata dalla sinistra) quanto è necessario parlare di identità?
«Le controversie a cui lei fa riferimento erano puramente aneddotiche, e quindi di nessun interesse. Sono ovviamente convinto della necessità di un discorso sull’identità, che risponda a una preoccupazione crescente e onnipresente. Tuttavia, il tema rimane difficile da affrontare perché oggi viene trattato in modo soprattutto passionale. Comunque la nozione di identità (individuale o collettiva) è sufficientemente complessa da non poter essere ridotta a slogan. Nei libri che ho pubblicato su questo tema, ho cercato di portare la nozione di identità fuori dal regno delle asserzioni e delle fantasie semplicistiche. L'affermazione di un “noi” collettivo deve avere come corollario il riconoscimento dell’identità degli altri. In questo senso, l’identità ha una dimensione eminentemente dialogica: l’idea che abbiamo dell’altro è direttamente legata all’idea che abbiamo di noi stessi. L’identità non può essere ridotta alla biologia, all’economia o alla cultura. Comprende un’intera gamma di sfaccettature che si illuminano a vicenda. L’identità di un popolo è inseparabile dalla sua storia».

 

 

 

Cosa resta della stagione che ha segnato la Nuova Destra?
«Quella che i media hanno chiamato “Nuova Destra” a partire dal 1979 è una scuola di pensiero nata più di mezzo secolo fa. Naturalmente è ancora attiva e presente. Non credo che oggi ci siano molti movimenti intellettuali o culturali che possano vantare una tale continuità! Le riviste pubblicate dalla ND (Eléments, Nouvelle Ecole, Krisis), i libri che pubblica e l’influenza che esercita contribuiscono a delineare i contorni di una visione del mondo alternativa alla società attuale, che si sta disintegrando sotto i nostri occhi».

Ottant’anni sono l’Europa che cambia e muta forma. A un giovane oggi cosa consiglierebbe di leggere per comprendere e affrontare il mondo?
«Naturalmente potrei citare molti autori: Oswald Spengler, Carl Schmitt, Max Weber, Julien Freund, Louis Dumont, Jean Baudrillard, Karl Polanyi, Jean-Claude Michéa e molti altri. Ma le letture, per quanto necessarie (ed è ovvio che lo siano), sono di scarsa utilità finché i lettori non si strutturano ideologicamente per comprendere il momento storico che stiamo vivendo. Viviamo in un mondo che sta per scomparire e abbiamo la massima difficoltà a definire quello che sta per arrivare. Nell’era delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale, le sfide che dobbiamo affrontare non sono chiaramente le stesse di cinquant’anni fa. Ecco perché i riferimenti devono essere sempre aggiornati, altrimenti ci condanniamo a guardare il futuro attraverso uno specchietto retrovisore. Il passato stesso non deve essere visto come un rifugio (“era meglio prima”), ma come la base per un nuovo inizio». 

 

 

 

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