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Sinistra, solo catastrofi: oggi sono i progressisti a far leva sulle paure

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Corrado Ocone
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La sinistra ha conquistato in passato il senso comune diffuso anche perché ha saputo appropriarsi di una dimensione essenziale della psiche umana: il futuro. Essa ha dato corpo, con teorie e azioni calate in questo nostro mondo, a quel “principio speranza” (per dirla con il filosofo Ernst Bloch) a cui, in una dimensione trascendente, la religione cattolica aveva dato per secoli e secoli una sua risposta. Quanto di astratto e pericoloso ci fosse in quella vera e propria “religione secolare” che è stata il marxismo, la storia lo ha ampiamente dimostrato. Non c’è quindi da meravigliarsi se a destra, così come fra i liberali, ci sia una naturale diffidenza verso chi guarda al futuro. Così come è comprensibile, anche se non giustificabile, che il giusto richiamo alla tradizione porti più a celebrare il passato che non a preoccuparsi di trasmettere rinnovata al futuro la sua preziosa eredità. Che però la destra culturale abbia oggi l’opportunità di “riconquistare il futuro”, lo dimostra la deriva ideologica, e direi morale, che sta investendo la sinistra. Il futuro che oggi propone la sinistra non è più il futuro della speranza, ma il futuro di una apocalisse senza sbocchi che ci attenderebbe inesorabilmente.

Una catastrofe, prima di tutto ecologica, che l’uomo potrebbe evitare solo scomparendo, oppure diminuendo le sue pretese fino a ritornare a una vita edenica ove si produce e si consuma il minimo indispensabile. In una furia nichilistica e distruttrice, che vediamo all’opera spesso nelle tante manifestazioni di piazza degli ultimi tempi, l’obiettivo a cui si tende oggi a sinistra non è lo sviluppo in tutte le sue potenzialità dell’uomo, preso per come esso è e non può non essere. A quell’uomo, che si vuole bacato dall’origine e quasi un virus prodotto dalla terra, viene proposto invece di divenire un post-uomo (un “uomo nuovo”), oppure il pre-uomo precedente ogni civiltà (il mito del “buon selvaggio”). Nelle piazze vediamo sfilare non la gioia e la voglia di vivere, non la speranza, ma le “passioni tristi” della rabbia e dell’indignazione acritica e a senso unico. Certo, il futuro dei conservatori e dei liberali non può essere quello che è stato della sinistra rivoluzionaria, che non poche tracce già portava in seno di quel nichilismo che oggi (seppure in ambito più etico che politico) è diventato predominante. Al mito della rivoluzione, che vuole annullare il passato per ripartire da zero, occorre sostituire l’idea della riforma, della cura e della manutenzione attiva, del rinnovamento e rinvigorimento dei beni più cari che ci hanno consegnato la tradizione, almeno in questa parte di mondo: la democrazia e la libertà.

 

 

 

SPAZI DI LIBERTÀ

La stessa benemerita lotta al “politicamente corretto” in tutte le sue forme, che ci vede impegnati ogni giorno, non va vista come una battaglia per sostituire i vecchi valori ai nuovi della cultura woke. Va considerata, piuttosto, come la battaglia per aprire quegli spazi di libertà per tutti che la cultura di sinistra, per sua intima e illiberale costituzione, ha sacrificato e ancor più vorrebbe sacrificare in futuro. Al futuro monocolore che ci ha da sempre proposto la sinistra, vendendocelo come “giusto” e “perfetto”, bisogna opporre il futuro multicolore e “imperfetto” della libertà e varietà umane. So bene che educare ed educarsi alla libertà non è semplice, ed è persino controintuitivo: le scorciatoie intellettuali e morali assecondano di più la nostra pigrizia e la nostra inconscia voglia di conformarci. E sono ben consapevole del fatto che contribuire a cambiare il senso comune, vincere la “guerra culturale”, è una impresa quasi titanica. Una classe intellettuale degna di questo nome si creerà tuttavia solo se accetterà la sfida, se si mette alla prova. Se non ora, quando? 

 

 

 

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