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Generale Vannacci, Capezzone: ora sciolga il nodo delle europee

Daniele Capezzone
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Davvero nell’interesse di tutti - cito in ordine sparso: dell’esercito, della credibilità delle istituzioni, di ogni cittadino, della coalizione di centrodestra, della Lega, e perfino dello stesso protagonista dell’affaire – sarebbe ora di voltare pagina rispetto al caso del generale Roberto Vannacci, e di farlo rapidamente e nel modo più lineare: cioè sciogliendo subito il nodo della sua candidatura alle prossime elezioni europee.

Gli schieramenti sono noti sin dallo scorso agosto: da un lato della barricata, c’è chi ritiene che un generale, per ragioni di opportunità, non possa godere della stessa illimitata libertà di espressione che appartiene a qualunque altro cittadino; sul versante opposto, c’è chi invece pensa che il free speech sia un valore assoluto, mai comprimibile né sacrificabile in nessun caso.

Chi scrive – per quel che vale – è più vicino alla seconda scuola di pensiero che non alla prima. Ammetto agevolmente che il fatto che l’interessato (Vannacci) vesta una divisa rende la discussione più complicata. Si può infatti sostenere che lo svolgimento di alcune funzioni (militari, magistrati ecc.) richieda “neutralità” e dunque una speciale autocontinenza nell’esercizio della libertà di parola. E si tratta di una tesi che ha una sua indubbia solidità: peccato che troppe volte si sia consentito a funzionari pubblici, in primis a dei magistrati, di proclamare convinzioni di tutt’altro segno politico e culturale (e che lo “scandalo” sia scoppiato solo in presenza di tesi sgradite al mainstream progressista).

 

 

Personalmente, dunque, mi convince molto di più un approccio ipergarantista rispetto alla libertà d’espressione: puoi punire il Vannacci della situazione se per caso, nell’esercizio delle sue funzioni, abbia adottato comportamenti o decisioni discriminatorie verso chicchessia; ma non puoi punire un suo pensiero. In altre parole, in un sistema liberale si devono penalizzare gli atti, non le idee, a meno di incamminarci sul pericolosissimo sentiero di richiedere una preventiva adesione a una “verità di Stato”.

Tutto ciò premesso, e quindi offerta a Vannacci la difesa che a mio avviso merita sul versante della sua libertà di parola, penso che adesso stia a lui chiudere la partita annunciando immediatamente la decisione di candidarsi o meno alle europee. Non attenda l’ultimo minuto utile: lasciar trascorrere altri due mesi sarebbe – diciamocelo – una tarantella funzionale solo a rinfocolare la polemica, forse a lanciare un nuovo libro, ad alimentare ostilità interne al centrodestra, a sollevare dubbi perfino su trattative e condizioni per accettare o meno la candidatura che pare gli sia stata già da tempo offerta.

Sarebbe invece molto più utile comunicare subito se sarà in campo: con ciò chiarendo a tutti, da questo momento in avanti, che ogni sua parola non sarà più del “generale Vannacci” ma del “cittadino Vannacci”, anzi del “candidato Vannacci”. E a quel punto – per evidenti ragioni – nessuno potrà contestargli alcunché sul piano della legittimità delle posizioni: al massimo, com’è normale in una democrazia, gli si potranno fare obiezioni nel merito.
Dopo di che, sia consentita una considerazione minoritaria e impopolare (del resto, non sono qui a prendere “like”). Rileggendo il primo libro vannacciano (dal titolo Il mondo al contrario), vi si trovano molte opinioni di assoluto buon senso su tasse, casa, difesa della proprietà, energia, eccessi ecofondamentalisti, e una assai condivisibile critica alla cappa politicamente corretta, purtroppo condita da qualche osservazione piuttosto discutibile su svariati temi sensibili e soprattutto da alcune gravi scivolate lessicali. I suoi sostenitori hanno parlato di stralci estrapolati ad arte per attaccarlo e per distorcere il senso complessivo del saggio; i suoi avversari hanno insistito nel sottolineare alcune frasi (alcune in tema razziale, altre sulla “non normalità” degli omosessuali) francamente imbarazzanti.

 

 

FRONTI IN LOTTA - E qui devo confessare di essermi sentito scarsamente a mio agio tra i due maggiori fronti in lotta: da un lato, quelli che hanno difeso Vannacci, ma in realtà – mi è parso – solo perché condividono più o meno alla lettera tutto ciò che ha scritto (e non a caso moltissimi tra questi, in mille altre circostanze, si erano ben guardati dal pronunciare una sola sillaba a difesa dei mille censurati d’Italia dalla sinistra, di tutta evidenza sentendoli meno vicino alla loro sensibilità); dall’altro, quelli che hanno attaccato selvaggiamente Vannacci, tra grottesche richieste di radiazione e pubblica gogna, soltanto perché detestano le sue tesi.

A maggior ragione, dunque, ha senso una posizione liberale pro free speech: quella di chi difende la libertà di parola del generale nonostante un eventuale dissenso, anche parziale, dai suoi contenuti o dalla relativa forma. Al tempo stesso – siccome siamo liberali ma non ci piace essere portati a spasso – Vannacci farà bene a chiarire al più presto le sue intenzioni politiche. Un gioco trasparente e a carte scoperte potrà solo fargli bene, mentre questo dire e non dire sulla sua candidatura, alla lunga, potrà solo nuocere alla sua credibilità. Dunque, il generale dica quello che vuol fare. E finisca il teatrino per cui viene rappresentato come un pericoloso mostro da impiccare, come una strega da bruciare (su alcuni giornali di sinistra), o invece come un gigante del pensiero e un riferimento morale e culturale (su alcuni giornali di destra). Sbagliano certamente i primi, perché il free speech è come il garantismo: non può essere applicato e richiesto solo per gli amici. Ma forse sbagliano – per ragioni tutt’affatto diverse – pure i secondi.

Qui a Libero, come testimonia ogni singola pagina di questo giornale, sin dalla sua fondazione, siamo fieri avversari del politically correct: dunque, si comprende benissimo (anzi, va applaudito!) il fatto che un pezzo di opinione pubblica abbia esaurito la pazienza e cerchi uno sfogo, uno sbocco, una reazione. E non sorprende il fatto che chi è giustamente arrabbiato si adatti a fare il pane – per così dire – con la farina disponibile, e cioè faccia tesoro anche del libro di Vannacci, e pure di qualche pagina piuttosto discutibile. Tuttavia, se si vuole davvero insidiare la “cupola” politicamente corretta, sarebbe il caso di scegliere con maggiore cura le bandiere sotto le quali radunarsi e le parole d’ordine da utilizzare: altrimenti il rischio dell’autogol è dietro l’angolo. E – peggio ancora – si finirà per facilitare il compito dei tenutari progressisti della vecchia “cappa”, ai quali tutto sommato conviene aver a che fare con avversari agevolmente caricaturizzabili e marginalizzabili, e dunque in ultima analisi perfino “funzionali”. Ciò detto, in bocca al lupo a tutti, e, caro Vannacci, non tardi a far sapere a tutti se sarà candidato. Buon lavoro, dunque. 

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