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La metamorfosi di Roberto Salis, da uomo di destra ad anarcoide

Francesco Specchia
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Le colpe dei figli non ricadano sui padri. In tempi cruenti d’elezioni, circolano due Roberto Salis padri di Ilaria, l’uno opposto all’altro in curioso effetto - Doppelgänger. E.T.A Hoffman ci scriverebbe sopra una novella crepuscolare. Il primo Salis è quello che sicuramente giace incatenato in una segreta della politica, indossando una maschera di ferro. Era l’ingegnere “liberal di destra” e lo strenuo difensore di Orbán che non s’allineava sulle sanzioni a Putin; il tecnico tenacemente anti- Green Deal; l’antipolitico urticante verso tutto ciò che un tempo emanava Pd, D’Alema e Saviano al tempo stesso. Il secondo Salis è, invece, pervaso dal demone dell’antagonismo; è un moderato che si trasforma in anarcoide, nel quale s’insinua lo spirito della figlia.

Salis è diventato il candidato per procura che se ne va in giro a fare la nemesi del generale Vannacci; e ad accusare lo stesso Orbán e il suo regime manettaro e illiberale. E a prodursi in un’infiammata campagna elettorale a favore della figlia, accusata dalla giustizia magiara, portata in ostensione – e candidata alle Europedall’Avs di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Il secondo Salis è a quello che occupa le cronache e chiude le segrete del primo Salis con enormi lucchetti mediatici.

Oggi il nostro Roberto, passando di talk in talk show, di denuncia in denuncia, di comizio in comizio, è l’uomo che si rotola nel fango delle polemiche, entrando in colluttazione con un rispettosissimo ministro degli Esteri Antonio Tajani. «Tutta questa attenzione e quest’impegno del governo per i diritti dei suoi cittadini io la vedo ancora molto nebulosa. Li dovrei ringraziare?», afferma a Repubblica il Salis piangente «su questa storia io non ho dei sassolini nelle scarpe, ho della ghiaia, ho i piedi sanguinanti e prima o poi svuoterò i cassetti di quel che ho da dire».

 

 

 

Tra l’altro, Tajani, poco prima dell’invettiva, aveva rivendicato l’azione della Farnesina nella concessione degli arresti domiciliari proprio a Ilaria. «Abbiamo fatto per lei quello che facciamo per tutti gli italiani nel mondo», affermava il ministro. Tra l’altro, gli italiani detenuti all’estero sono 2.600: e trovare una candidatura per ognuno di loro sarebbe faticosissimo. Ma tant’è.

Il Salis che gira le circoscrizioni italiane a mero scopo di riempire le urne esaltando un inesistente programma politico dell’erede, be’, è pronto ad attaccare quelle stesse istituzioni che paradossalmente la figlia aveva ringraziato. L’ingegnere ha attinto esperienza dal suo passato in politica con Slai Cobas nei blocchi sindacali; e con Fare-Per fermare il declino, formazione ultra liberale di Oscar Giannino. E si sta dimostrando un politico scafatissimo, in grado di adattare al suo caso familiare la campagna elettorale a sinistra; e di ritorcere il concetto assai meloniano di “patria” contro la Meloni stessa. Il vecchio Salis brillava d’un rigoroso rispetto per l’istituzione?

Bene. Il nuovo Salis ora (nonostante l’evidenza del ritorno in patria di Alessia Piperno, della famiglia nelle mani dei terroristi in Mali, di Chico Forti) grida contro l’incapacità e l’inerzia totale dello Stato: «Non è possibile che le istituzioni si muovano solo su pressione dell’opinione pubblica. Un vero patriota la cosa più importante che deve fare è difendere i cittadini perché altrimenti è un traditore della patria».

 

 

 

Salis è quello che «il confronto con Vannacci e Ilaria al generale non piacerebbe». Salis era quello che difendeva a spada tratta il famoso spot Esselunga della mela. Salis è quello che «le istituzioni mi stanno tampinando per avere un ringraziamento, ma perché dobbiamo ringraziare le istituzioni che fanno il loro dovere? Io la trovo una cosa vergognosa. Questi signori sono lì a lavorare per noi e non per farsi i fatti loro». Salis era quello che «coerenza, visione strategica, carisma, carriera politica internazionale: Meloni è nettamente superiore a Letta».

Roberto Salis, alla fine, resta soprattutto un padre che farebbe tutto per la figlia - ingiustamente posta in ceppi, ma in attesa di giudizio, con in curriculum 4 condanne passate in giudicato e 29 denunce - non esattamente Nilde Iotti. Roberto Salis, certo non è Donat-Cattin il cui figliolo si scoprì brigatista. È semplicemente un padre la cui metamorfosi, per quanto incredibile, risulta il minimo sindacale per un genitore...

 

 

 

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