Amadeus a picco e scaricato dalla sinistra: subito dopo il flop su Nove...
«M’hanno rimasto solo, ’sti quattro cornutoni». A metà tra Peppe Er Pantera dell’Audace colpo dei soliti ignoti e Gianni dei Brutus, quello che prendeva sberle da chiunque gli passasse vicino- così, senza un movente Amadeus, oggi, si sta divincolando dalla sua leggenda progressista costruita troppo in fretta. Da ultimo baluardo della resistenza alla terribile televisione meloniana, da eroe catodico dei nostri tempi senza il quale la tv di Stato sarebbe precipitata nell’abisso del familismo e dei bassi ascolti, Ama oggi è diventato una sorta di reietto. Non reietto televisivo - si badi - ma reietto politico. (...)
Per la seconda volta di seguito, il conduttore barcolla sotto la mannaia dell’audience del suo programma Chissà chi è (3.6% di share contro il 5.2%, stracciato, in sovrapposizione, da uno Stefano De Martino quasi invisibile alla guida del suo ex programma Affari tuoi). Sicché tutti i suoi occasionali estimatori di partito (il Pd in primis: «La Rai senza Amadeus uscirà sicuramente più povera») e di stampa assai vicina al partito («Amadeus è troppo avanti per i dinosauri di questa Rai») sono spariti.
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SINDROME DELL’ALA
È la solitudine dell’ala sinistra: quando non fai gol, poi finisce che ti trattano come un terzinaccio. Quando si parlava della fuga di Ama dalla Rai non tanto per mancanza di cachet ma per «mancanza d’affetto», be’, si riempivano le paginate dei giornali per sostenere la fascinosa tesi del Minculpop insediato nei gangli della tv di Stato. Oggi quella notizia è stata resa sdrucciola dagli eventi. Non essendo funzionale alla narrazione dell’apocalisse degli ascolti in Viale Mazzini la notizia si rimpicciolisce, si ridimensiona, scivola via dalla pagine politiche e si rimpannuccia nelle asettiche statistiche delle curve d’ascolto, pagina Spettacoli. Sicché ecco solo poche righe su Repubblica nella rubrica di Antonio Dipollina che firma in punta di piedi il pezzo “Amadeus, il transfuga di lusso spericolato”; ed ecco soltanto un post tecnico e ben articolato sul Fatto Quotidiano on line nella rubrica dell’accademico Giorgio Simonelli, il quale finisce col rimpiangere Fabrizio Frizzi.
Anche sul Corriere della sera ci si affida il commento al critico Aldo Grasso che spiega che la «tv è abitudine», che rispetto ad Ama «Fabio Fazio si era costruito un suo pubblico, una sua comunità», che «le altre reti farebbero bene a seguire quest’avventura come un test», eccetera. Si tratta di disamine – giustamente - tecniche in cui viene a disperdersi qualsivoglia afflato ideologico. L’esatto contrario della bufera mediatica attizzata quando Amadeus, a petto nudo, annunciò l’abbandono della Rai matrigna. Oggi Agostino Saccà commenta l’inevitabile viaggio nell’inferno dell’eroe di cinque Sanremo, dell’uomo che riuscì a saldare la tradizione con l’estro dei giovani trappers; e evoca il dramma d’ascolti dell’Ulisse che lascia la propria casa per motivi venali come «verità archetipica», qualunque cosa essa voglia significare. E dal canale Nove Alessandro Araimo, amministratore delegato Italia & Iberia Warner Bros. Discovery fa sapere che quello di Ama «è stato un ottimo debutto, coinvolgente (...) che ci ha peraltro portato al nostro miglior risultato di sempre nella fascia dell’access prime time. Quello di Amadeus è un talento indiscusso e cristallino che ieri sera abbiamo potuto apprezzare in tutta la sua energia». E sta bene. I programmi, tutti e di tutti i palinsesti, hanno bisogno di crescere in un clima facondo fatto di pazienza e slanci di coraggio.
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PERIODO DI RODAGGIO
Se, per esempio, non gli si fosse stato concesso il periodo di rodaggio di due stagioni, Giovanni Floris non sarebbe Giovanni Floris; perché oggi il periodo di rodaggio non dura, in media, più di quattro settimane. Se si fosse badato solamente alle iniziali curve dell’ascolto e non ai picchi dell’“indice di gradimento”, nessun programma di Renzo Arbore sarebbe mai stato portato a termine. Se non gli avessero insufflato fiducia e denaro, Maurizio Crozza non avrebbe potuto costruire - proprio a Discovery - il suo oramai assodato mito satirico. Perfino il tanto vituperato Pino Insegno, a forza di dai-e-dai, sta ritrovando una propria dimensione.
Gli ascolti, riletti con la tigna dei demiurghi dei palinsesti che cercano di raddrizzare le zampe ai cani, spesso possono portare a buoni risultati, anche a medio termine. Vale per tutti. Amadeus non mai stato un genio, semmai un grande mediano con scatti di creatività che mai avresti detto. E non è un genio neppure De Martino che l’ha sostituito in uno dei format più collaudati della storia del piccolo schermo. L’importante, in tv, è non spostare l’intrattenimento sull’asse della politica. La confusione potrebbe diventare letale...
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