Oriana Fallaci, l'11 settembre e i 50 anni del bambino mai nato

La giornalista assisteva in diretta al crollo delle Torri Gemelle, ovvero il vero tragico inizio del nuovo secolo, battezzato dalla definitiva e (ad oggi si può ben dire) irreversibile crisi dell’Occidente
di Daniele Priorigiovedì 11 settembre 2025
Oriana Fallaci, l'11 settembre e i 50 anni del bambino mai nato

(Ansa)

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Cinquant’anni fa, nel mese di settembre del 1975, usciva per la prima volta in linato. Un quarto di secolo dopo, l’11 settembre del 2001, Oriana Fallaci assisteva in diretta al crollo delle Torri Gemelle, ovvero il vero tragico inizio del nuovo secolo, battezzato dalla definitiva e (ad oggi si può ben dire) irreversibile crisi dell’Occidente che Oriana inizierà a esorcizzare violentemente proprio con il pamphlet divenuto ben presto il caso letterario e poi addirittura una trilogia, iniziata sulle pagine del Corriere della Sera del 29 settembre 2001, con un fluviale articolo, lungo ben quattro pagine e un titolo che fece Storia a sé: La rabbia e l’orgoglio.
Entrambi i capolavori sono nati tra le pareti affumicate della dimora newyorchese di Oriana Fallaci.

Quell’angolo di mondo, rimasto per decenni nascosto al mondo. Un appartamento che sembrava come scavato nelle parole che con sofferenza scaturivano dalla mente della sua sovrana assoluta, situato al civico 222 della 61esima Strada, nel cuore dell’Upper East Side e divenuto il vero palcoscenico, prima di tutto umano, sul quale l’Oriana è ben presto divenuta la Fallaci, scavando a mani nude nelle contraddizioni del mondo e in quelle più intime dell’animo di una donna a confronto con una maternità che non voleva proprio arrivare. Forse perché quella madre mancata era in realtà predestinata a diventare genitrice solo dei suoi libri che Oriana, non a caso, definirà come i suoi «figli di carta».

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Genesi sofferte, quelle delle opere “morali” fallaciane, perché di fatto hanno rappresentato vere e proprie prese di coscienza per la loro autrice. Un percorso iniziato già dal 1967, ovvero otto anni prima della pubblicazione della prima edizione di Lettera a un bambino mai nato, quando Oriana - si è scoperto cercando nella dimora newyorchese - già rifletteva, con appunti scritti a penna. Di fatto si trattava di una primissima bozza del libro, scritta addirittura a mano su un diario rinvenuto in un cassettone dopo la morte della scrittrice avvenuta il 15 settembre del 2006. Una copia mai pubblicata fino ad oggi che vedrà luce il prossimo 23 settembre all’interno dell’edizione-anniversario che Rizzoli pubblicherà con una nuova prefazione firmata da Francesca Mannocchi.

Erano quelli gli anni nei quali la giovane Oriana, cronista de L’Europeo arrivata dall’Italia, grazie alle sue corrispondenze e interviste americane, via via diventava la Fallaci. Una diva internazionale della penna, ben presto divenuta controversa e temuta maître à penser. Inviata impavida che non avrà timore a imbarcarsi di lì a poco per il Vietnam, divenendo anche narratrice inarrivabile dei più complessi fronti di guerra che, proprio attraverso le sue parole, come magicamente, apparivano limpidi, certamente non meno spaventosi, ma comprensibili per ogni lettore.

La Grande Mela, seconda patria della giornalista scrittrice, è dunque, già dalla metà degli anni Sessanta, la ferale testimone della presa di coscienza che la Fallaci ha maturato nel tempo, tracciando una linea tutt’altro che incoerente tra le due fasi della sua vita e della sua scrittura. Un percorso che si compirà nel coraggioso impegno civile che, dal 2001 in poi, vedrà l’Oriana battersi come una leonessa contro il concreto rischio di “islamizzazione” che, secondo l’autrice fiorentina, già da allora il mondo occidentale correva concretamente. In particolare la nostra vecchia Europa che Fallaci per prima ha definito con toni sarcastici e drammatici Eurabia.

Prima di tutto ciò, però, c’era il tema della vita da raccontare, spaginandolo dai margini di qualsiasi dottrina, animata dalla stessa giovanile passione e da quel libertarismo d’istinto che da ragazzina la portò ad essere staffetta partigiana. Valori e ideali rispetto ai quali Oriana non ha mai davvero fatto abiura. Lo si capisce proprio scorrendo le pagine del volume diventato frattanto un classico della letteratura. Perché in fondo l’intera esistenza dell’Oriana è stata un Resistenza. Trasformatasi, però, nel corso degli anni da richiamo ancestrale a quaderno di idee, figlie di quella Forza della Ragione cui la stessa Fallaci tornerà a richiamarsi con nettezza nel secondo dei tre volumi pubblicati dopo l’11 settembre del 2001.

La vita è un omaggio a se stessa che non necessita di ulteriori giustificazioni. «Bambino, io sto cercando di spiegarti che essere un uomo non significa avere una coda davanti: significa essere una persona. E anzitutto, a me, interessa che tu sia una persona. È una parola stupenda, la parola persona, perché non pone limiti a un uomo o una donna [...]. Il cuore e il cervello non hanno sesso. E neanche il comportamento. Se sarai una persona di cuore e di cervello, ricordalo, io non starò certo tra quelli che ti ingiungeranno di comportarti in un modo o nell'altro in quanto maschio o femmina.

Ti chiederò solo di sfruttare bene il miracolo di essere nato, di non cedere mai alla viltà». Un manifesto esistenziale che tornerà proprio nella Fallaci matura de La rabbia e l’orgoglio quando ribadirà come «Ci sono momenti in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre». E al quale Oriana Fallaci, nel 1975 come nel 2001, davvero non si è mai sottratta. Unendo nella sua prosa il coraggio della giornalista, il talento della scrittrice e la coerenza di una donna mai venuta meno al suo ruolo di testimone dalle idee libere e certe.

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