Non accenna a placarsi la furia di Francesca Albanese, che nel giro di poche ore ha visto sgretolarsi con la firma della pace tra Israele e Hamas mesi e mesi di retorica pro-Pal. Anche per questo, però. è vietato arrendersi.
Così, mentre i partiti di sinistra che l'hanno portata in palmo di mano in campagna elettorale venendo pesantemente puniti dagli elettori negli ultimi giorni sembrano averla mollata al suo destino, la relatrice speciale all'Onu per i territori palestinesi occupati si gioca l'asso, il carico pesante. Forse l'ultimo rimastole: scommettere sul fallimento del piano Trump che solo ora, con il rilascio degli ostaggi israeliani e lo scambio con i prigionieri palestinesi, sta diventando realtà.
"Nel piano di pace proposto da Trump e Netanyahu ci sono troppi assenti - accusa la Albanese dalla Marcia per la pace di Assisi -. Anzitutto i palestinesi, cooptati da tecnocrati. Porto il dolore di un popolo che viene martoriato dalle bombe, e io ho ora il timore che la parola pace completerà ciò che il genocidio non è riuscito a fare".
Un'altra perla, se così si può dire, in una collana di gaffe e scivoloni. Dalla "resistenza" di Hamas alla rissa sul palco con il sindaco di Reggio Emilia che l'aveva appena premiata ma che aveva "osato" chiedere la liberazione degli ostaggi ("Però lo perdono", lo aveva assolto la Albanese dopo essersi coperta platealmente il volto con le mani) fino alla drammatica sceneggiata a In Onda, su La7, quando domenica scorsa ha lasciato all'improvviso la diretta non appena Francesco Giubilei aveva nominato Liliana Segre per smentire la teoria del genocidio. Quei secondi raggelanti sembrano aver segnato la fine della crediblità della Albanese anche a sinistra.
D'altronde, le scuse e i passi indietro non sembrano far parte dell'orizzonte della relatrice Onu, che non a caso a chi ne contesta le tesi a senso unico sulla Palestina ancora orggi ribatte definendo l'Italia "un paese ottuso e ignorante su quella che è la resistenza dal punto di vista del diritto internazionale".