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Più abbonati alla Fenice con Venezi direttore

di Enrico Stinchelli sabato 22 novembre 2025

3' di lettura

La nuova stagione del Teatro La Fenice si apre con un dato che pesa più di qualsiasi slogan: gli abbonamenti alle opere crescono del 7% rispetto allo scorso anno. Oltre 80 nuovi abbonati, un incremento triplo rispetto al trend abituale del teatro (solitamente tra il 2% e il 3%). Il sovrintendente Nicola Colabianchi parla di «risultato sorprendente», e sorprendente lo è davvero, soprattutto in un periodo in cui il dibattito sulla nomina di Beatrice Venezi ha generato più rumore che riflessione.

Per settimane abbiamo assistito a una tempesta perfetta di post, contro-post, indignazioni a comando, minacce di boicottaggio e “analisi” sui social che avevano lo stesso tasso di affidabilità delle previsioni del tempo fatte dai barometri da salotto. E invece, quando si spengono le tastiere e si accendono le luci di sala, i numeri raccontano un'altra storia: il pubblico non si è allontanato, è addirittura aumentato. Le famose disdette? La lettera dei 140 abbonati storici ha riempito pagine e bacheche digitali, eretta a prova regina di una Fenice “tradita” dai suoi stessi spettatori. Ma alla prova dei fatti le rinunce effettive sono state soltanto tre.

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Un dato che riduce ogni enfasi e che restituisce alla realtà il suo giusto peso: l'amore per il teatro non si misura a colpi di hashtag. L'inaugurazione della stagione con La clemenza di Tito, diretta da Ivor Bolton con la regia di Paul Curran, ha registrato una sala piena e sette minuti di applausi finali. Un pubblico internazionale, quello delle grandi occasioni, venuto per ascoltare Mozart e non per aggiornare un feed polemico. Il lancio di volantini dal loggione, gesto sindacale già visto più volte, non ha intaccato la qualità dello spettacolo. Lo stesso Colabianchi ha ribadito che il diritto di esprimersi è sacrosanto, ma che ormai la questione è nota e non necessita di trasformare ogni recita in un'assemblea permanente. I numeri parlano, le narrazioni no. Il +7% segna un fatto semplice: la retorica del “teatro spaccato” non trova appoggi nella realtà.

Il pubblico ha continuato a scegliere la Fenice con naturalezza, forse proprio perché — come spesso accade — si stanca in fretta delle controversie a sfondo politico. Le persone vogliono ascoltare musica, non partecipare a un referendum. E preferiscono che a parlare siano la voce del soprano, il gesto del direttore, la potenza della partitura. Nel mondo dei teatri d'Opera, la professionalità è una regola antica: si lavora con tutti i direttori, si cresce insieme, si valuta nei fatti. La nomina del direttore musicale è un atto formale e legittimo, e il percorso artistico si costruisce in sala prove, non sui social.

È bene ricordare che La Fenice non è un teatro qualsiasi: è un'istituzione mondiale, una storia che impone responsabilità a tutti — orchestra, coro, direzione artistica, Sovrintendente, pubblico. La speranza, condivisa da Colabianchi, è che il dialogo possa riprendere su basi serene. Sono già in programma incontri con Beatrice Venezi prima della fine dell'anno. In conclusione: questo +7% non è un dettaglio statistico, è un termometro culturale. In mezzo ai toni accesi, alle prese di posizione e al rumore di fondo, il pubblico continua a scegliere la Fenice. E lo fa con un'idea molto chiara: le polemiche passano, la musica resta. La Fenice non sta perdendo terreno. Sta crescendo.

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