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Accise, il boom con Monti e la sinistra. Ma il Pd tace

Michele Zaccardi
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Dall’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia in camicia nera nel 1936 al terremoto dell’Aquila del 2009, quella delle accise è una storia infinita, che abbraccia oltre 80 anni di vicende italiane e internazionali. E che ora è tornata d’attualità per la decisione del governo di non prorogare il taglio varato l’anno scorso da Mario Draghi. Una scelta che ha subito scatenato i piagnistei dell’opposizione. Dalle parti del Pd,infatti, non hanno perso tempo per attaccare la premier, Giorgia Meloni, ritenuta colpevole di «incoerenza» da Laura Boldrini (deputata Pd), e il governo, la cui decisione di non rinnovare lo sconto, già ridotto a novembre da 25 (30,5 con l’Iva) a 15 centesimi (18,3), è stata bollata nientemeno che come «folle» da Anna Ascani (sempre Pd).

SCONTO CANCELLATO
Ma a mettere una pietra tombale sulla pantomima inscenata dalla sinistra ci ha pensato il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli: «Questa eliminazione dello sconto sulle accise sui carburanti è qualcosa che doveva già fare il precedente governo Draghi». I prezzi di benzina e diesel, infatti, nel frattempo sono calati parecchio, passando dai circa 2,2 euro al litro di marzo, quando è stato introdotto il taglio delle imposte, a 1,8. Insomma, lo sconto non aveva più senso. Anzi, rischiava persino di diventare deleterio dal momento che incentiva i consumi. Senza contare il fatto che il taglio è piuttosto costoso. Secondo i calcoli di Pagella Politica, nel 2022 la perdita di gettito per l’erario è stata pari a una cifra compresa tra i 6,5 e i 7,3 miliardi di euro. Ma la critica della sinistra non centra il bersaglio anche per un altro motivo.

E cioè che il governo non ha fatto altro che riportare le lancette dell’orologio al 2015, quando a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi. Le accise sulla benzina da quest’anno peseranno infatti per 0,728 euro al litro e quelle sul diesel per 0,617: esattamente lo stesso valore di 8 anni fa. Insomma, non c’è nessuna rapina ai danni dei poveri automobilisti. Del resto, anche il secondo governo Prodi, dopo aver ridotto di due centesimi le imposte sui carburanti nel 2008, la famosa “accisa mobile”, cancellò il taglio a poco più di un mese di distanza. Il calo dei prezzi dei carburanti aveva infatti trascinato con sé anche lo sconto su benzina e diesel. Mala storia delle accise è vecchia di ottant’anni.

Usate per gli scopi più disparati, le fastidiose gabelle si sono stratificate nel tempo, prima di essere accorpate in un’unica imposta nel 1995. Tra le più famose c’è quella introdottanel’35 per finanziare la guerra in Etiopia. Ma l’elenco è lunghissimo. Dalla crisi di Suez del 1956, all’alluvione di Firenze del ’66, passando per il terremoto del Friuli e quello dell’Irpinia, le accise, come i pani e i pesci, si sono moltiplicate: nel 1995, prima di venire raggruppate, se ne contavano 19. E rappresentano una fonte importante di risorse per lo Stato.

FARE CASSA
Nel 2021, senza contare quelli che gravano su alcolici e tabacchi,i balzelli sui carburanti hanno generato un gettito di 23,8miliardi di euro. Dal 1995, secondo i dati raccolti dall’Unione energie per la mobilità (Unem), l’imposta è stata aumentata undici volte: sei da parte dei governi di centrodestra e due da quelli di centrosinistra. In poco meno di un anno e mezzo, invece, Mario Monti, con l’appoggio anche del Pd, fece ben tre ritocchi all’insù. I motivi dietro gli aumenti sono stati i più diversi. Nel 2003, Silvio Berlusconi, al suo secondo incarico da premier, ritoccò le imposte sui carburanti per finanziarei rinnovi contrattuali degli autoferrotranvieri, mentre nel 2011 per fronteggiare l’aumento degli sbarchi di immigrati, causato dalla guerra civile in Libia. Per quanto riguarda il centrosinistra, il primo governo Prodi aumentò le accise per finanziare la missione Onu in Bosnia. Enrico Letta, invece, le alzò nel 2013 per recuperare i fondi necessari al “Decreto del Fare”.

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