Toghe
Lo scontro fra politica e magistratura nel nostro Paese ha radici molto lontane. Esse affondano almeno nei primi anni Sessanta. Fu Pietro Nenni ad avvertire fin da subito il pericolo che correva la giovane democrazia italiana a causa della crescente alterazione dei rapporti fra il luogo della decisione politica e la sfera della giurisdizione. Infatti, nel 1964 il vicepresidente del Consiglio del primo governo di centrosinistra presieduto da Aldo Moro scriveva che «l’indipendenza della magistratura va assumendo forme che fanno di quest’ultima il solo vero potere, un potere insindacabile, incontrollabile e, a volte, irresponsabile. C’è da battere le mani se finalmente qualcuno affronta la mafia del malcostume. Ma c’è anche da chiedersi chi controlla i controllori». Dieci anni dopo, nel 1974, vale a dire parecchi decenni prima del caso Csm-Palamara, l’anziano leader socialista commenta preoccupato: «Abbiamo voluto una magistratura indipendente e il risultato è che essa ha finito per abusare del potere che esercita.
Per di più è divisa in gruppi e gruppetti. Abbiamo a che fare con una realtà peggiore di quella dei partiti». Nenni aveva piena consapevolezza che ciò che stava accadendo sul terreno dell’amministrazione della giustizia avrebbe nel volgere di breve tempo inquinato e compromesso la solidità di un principio cardine dell’ordinamento liberaldemocratico ossia che il potere giudiziario, essendo per definizione politicamente irresponsabile, deve incontrare nel suo esercizio limiti precisi e inderogabili. In tal senso, la domanda da porsi è molto semplice: le garanzie di assoluta e completa indipendenza di cui godono i magistrati italiani, ancorché riconosciute dal dettato costituzionale, trovano ancora nella realtà fattuale una legittima giustificazione ? Di primo acchito, verrebbe da rispondere affermativamente, ma il dubbio nasce quando si prende atto che oggi la figura del magistrato non rientra più nella raffigurazione classica avanzata nel Settecento da Montesquieu, per il quale i «giudici non sono altro che la bocca che pronunzia le parole della legge».
Purtroppo, negli ultimi decenni la giudiziarizzazione della sfera pubblica ha prodotto un mutamento di ruoli e di funzioni a tal punto radicale da trasformare il funzionario del diritto «da bocca della legge in giudice-guardiano della società». La qual cosa ha comportato, per effetto dell’espansione del raggio operativo dei magistrati, un anomalo e subdolo trasloco del comando politico dalla sfera del legislativo e dell’esecutivo alle stanze dei palazzi di giustizia. Va da sé che un tale inquinamento nei rapporti fra i poteri dello Stato indebolisca fondamentali funzioni democratiche a partire «dalla necessità d’individuare il responsabile di ogni scelta pubblica e, se del caso, di rimpiazzarlo attraverso la competizione elettorale». Il riconoscimento del valore dell’indipendenza della magistratura in un ordinamento liberale non deve impedire, però, di vedere ciò che sta avvenendo in Italia ormai da molto tempo ovvero che dietro la difesa dell’autonomia giudiziaria si nasconde, per dirla ancora con le parole profetiche di Pietro Nenni, «un potere insindacabile, incontrollabile e irresponsabile».
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.