Elly Schlein crocerossina d’Abruzzo. Era questo lo spot elettorale che si era preparato la segretaria del Pd in vista del voto regionale di domenica. Un comizio in corsia, sfilando tra i letti di un ospedale di provincia per far vedere che chi è ricoverato non sta bene e darne tutta la colpa al governatore del centrodestra, Marco Marsilio. La leader Pd si era programmata una comparsata pastorale nella struttura sanitaria pubblica di Popoli, in val Pescara, da dove avrebbe voluto puntare il dito contro la sanità locale ma il direttore della Asl di Pescara le ha negato lo show: «La visita è inopportuna al momento, contrasta con le ragioni di tutela di salute e di ordine igienico nonché con la necessaria riservatezza e serenità dei pazienti, impegnati in percorsi terapeutici complessi e densi di sofferenza», scrive il responsabile, Alterio Fortunato, formalizzando «l’invito a soprassedere all’iniziativa».
Non si fa politica e non specula sulla pelle dei malati, non si usa il pronto soccorso come fosse il palco del festival dell’Unità, è la traduzione dal burocratese, che non è piaciuta al Pd, il quale replica accusando la destra «di non voler far conoscere i disastri della sanità, ospedali chiusi e pochi medici».
PROPAGANDA LOCALE
Schermaglie miserabili. La Schlein legge quello che hanno preparato per lei i dem abruzzesi, punta il dito senza sapere quel che dice: «A Popoli, in un presidio sanitario svilito dalla destra, manca il personale al pronto soccorso, in chirurgia e radiologia». Ma Popoli è un paese di neppure cinquemila anime; non si può pensare che ospiti una struttura sanitaria all’avanguardia solo perché dista 40 minuti dal capoluogo, non sarebbe neppure giusto se ci fosse. Del resto, come fa notare l’assessore regionale alla Salute, Nicoletta Veri, «il Pd voleva chiudere l’ospedale di Popoli, ma forse questo a Elly Schlein il Pd locale non l’aveva detto». Nel documento votato dal Pd nel 2016 infatti il presidio sanitario era stato smantellato: niente pronto soccorso, tantomeno radiologia e chirurgia, altro che carenza di personale. È stato il centrodestra, una volta andato al governo in Regione, ad aver salvato la struttura, tornando a classificarla come sede di pronto soccorso, premessa essenziale per assumere personale e dislocare servizi.
Al di là dell’autogol tecnico di Elly, colpisce il suo cinismo. L’Abruzzo ha i problemi di sanità di tutte le regioni, di centrodestra come di sinistra, aggravate dal fatto che il sistema informatico dei suoi ospedali è stato vittima alla fine dello scorso anno di un violento hackeraggio che ha azzerato tutte le visite già fissate, generando un caos nella loro riprogrammazione, con immaginabile slittamento dei tempi. In più gioca la questione orografica: il territorio è molto montuoso e i collegamenti, specie in inverno quando nevica, possono essere difficoltosi anche tra centri distanti poche decine di chilometri; da qui il capitolo dei piccoli presidi sanitari, da preservare, come i dem non erano intenzionati a fare, ma sui quali non si possono riversare fondi a pioggia come se fossero il Policlinico di Milano o il Cardarelli di Napoli.
LA VERITÀ DEI NUMERI
Se perciò non si può certo dire che la situazione sanitaria in Abruzzo sia idilliaca, gli attacchi della Schlein sono comunque pretestuosi. Nei suoi cinque anni di amministrazione infatti il governatore Marsilio ha fatto 6.500 assunzioni nel settore e stanziato 76 milioni per recuperare i ritardi delle liste d’attesa dovuti ai due anni di fermo-Covid praticamente decisi dall’allora ministro della Salute, Roberto Speranza (Pd), riuscendo a recuperare il 97% degli appuntamenti saltati. È stata anche avviata la costruzione di tre nuovi ospedali (Avezzano, Lanciano e Vasto – per un totale di 338 milioni), nonché della nuova centrale operativa del 118 a L’Aquila e sono stati stanziati 120 milioni per il nosocomio di Teramo e 60 per quello di Chieti.
L’autogol della Schlein a Popoli si spiega con la strategia politica generale del Pd. Il partito ha deciso di giocare l’opposizione al governo Meloni sulla sanità sulla base del ragionamento che tutti invecchiano, molti si ammalano o hanno parenti che si ammalano e pertanto, se sfruttato con malizia e cinismo, il tema paga sempre, giacché sparando nel mucchio qualcosa si colpisce comunque. Una Regione però non ha colpe dei tagli alla sanità a cui deve far fronte, perché essi sono decisi dal governo centrale. In particolare, quello attuale è l’unico, degli ultimi dieci, a non averli fatti mentre il record di risorse sottratte alla cura dei cittadini spetta alla legislatura che ha visto succedersi a Palazzo Chigi i tre campioni del Pd, Letta, Renzi e Gentiloni, i quali in cinque anni, tra il 2013 e il 2018, hanno affettato 28 miliardi, contro i 9 del lustro retto dall’ultimo Berlusconi e da Monti. E fanno 37, ai quali si devono aggiungere i dodici tolti al sistema da Conte, per finanziare i suoi bonus, e Draghi.
Quanto alla Meloni, la premier l’anno scorso ha portato la spesa complessiva da 134,7 a 132,9 miliardi ma ha previsto un rialzo nel prossimo triennio fino a 139 miliardi, partendo per i 136 del 2024. Nell’ultimo anno pre-Covid il fondo sanitario nazionale era a 115 miliardi, per poi salire trai 122 e i 127 miliardi negli anni della pandemia; vaccini compresi.