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Fabio Panetta: La de-globalizzazione rischia di farci perdere il 10% del nostro benessere

Fabio Panetta
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Saluto cordialmente il Ministro Tajani e i partecipanti alla quindicesima conferenza tra la Banca d’Italia e il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Quello odierno è un appuntamento consolidato, che testimonia la proficua collaborazione costruita dalle due Istituzioni attorno alle Ambasciate italiane e alla rete di Addetti finanziari e Delegazioni della Banca d’Italia. Collaborazione che continua a infittirsi, da ultimo con l’istituzione di una posizione di Addetto presso l’Ambasciata a Buenos Aires e in prospettiva con il rafforzamento della Rappresentanza permanente presso l’Unione europea (Ue).

Il tema dell’incontro – la frammentazione economica e politica – è di grande rilevanza e attualità. Restrizioni al commercio internazionale e alla mobilità del lavoro e dei capitali possono ridurre il grado di efficienza economica, limitare le opportunità di diversificazione dei rischi e ostacolare la diffusione di tecnologie, conoscenze e idee, con rischi e costi potenzialmente elevati. La diplomazia ha un ruolo essenziale al fine di contenere gli effetti negativi di queste tendenze, salvaguardando gli interessi italiani ed europei e rinsaldando la cooperazione con le aree del mondo con ampie opportunità di sviluppo.

 

 

Implicazioni per l’economia globale e la cooperazione internazionale
La prima parte della Conferenza affronterà il tema della frammentazione economica e politica, esaminandone gli effetti sul principio del multilateralismo, che da decenni ispira i rapporti internazionali. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un forte aumento delle restrizioni commerciali determinato soprattutto dal serrato confronto tra Stati Uniti e Cina, oltre che dalla 2 riemersione di tendenze protezionistiche. Dal 2017 la quota di mercato degli esportatori cinesi negli Stati Uniti si è ridotta di 9 punti percentuali. Il calo è stato maggiore, pari a 15 punti percentuali, per i prodotti ad alto contenuto tecnologico e per quelli utilizzabili a fini militari. Inoltre, le indagini condotte dalla Banca d’Italia e da altre banche centrali indicano chele imprese europee stanno riorganizzando la propria attività produttiva e le strategie di localizzazione al fine di limitare l’esposizione verso paesi ad alto rischio geopolitico.

Il rallentamento del processo di globalizzazione nel periodo successivo alla crisi finanziaria rappresenta un fenomeno nuovo ma in qualche misura fisiologico. La continua crescita dell’integrazione economica e finanziaria registrata nei decenni precedenti la crisi era stata infatti alimentata da eventi difficilmente ripetibili, quali l’integrazione della Cina nell’economia globale, la creazione di complesse filiere produttive globali, il forte progresso tecnologico e il connesso aumento degli scambi di servizi in precedenza non commerciabili. Vi avevano contribuito la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (1995) e l’istituzione di aree di libero scambio quali il mercato unico europeo (1993) e il Nafta (1994). Questi andamenti hanno sostenuto la crescita a livello globale, aumentando il benessere di un’ampia fascia della popolazione mondiale. La pandemia e l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia hanno però fatto emergere le vulnerabilità del sistema internazionale di scambi commerciali. Sono venuti a galla i rischi connessi con la dipendenza da pochi fornitori esteri di materie prime essenziali, soprattutto nel campo dell’energia.

 

 

Gli eventi degli ultimi mesi – dalla crisi nel Mar Rosso alle tensioni politiche in altre regioni dell’Asia, dell’Africa e del Medio Oriente – sembrano confermare l’avvio di una fase storica in cui l’incertezza e l’instabilità del quadro geopolitico globale potrebbero rappresentare la norma, non l’eccezione. In un tale scenario il rallentamento del commercio internazionale che prima ho definito fisiologico rischia di trasformarsi in un vero e proprio processo di “deglobalizzazione” foriero di rischi assai elevati, soprattutto per le economie strettamente integrate negli scambi internazionali come quelle dell’Italia e della Ue. Stime recenti indicano che una frammentazione del commercio internazionale tra “blocchi” di paesi comprimerebbe il benessere della popolazione mondiale in media del 5%. Secondo altre analisi, se la frammentazione limitasse la diffusione delle tecnologie la perdita di benessere salirebbe al 10%. Una crisi del sistema di cooperazione e dell’assetto multilaterale della governance mondiale limiterebbe inoltre la capacità di rispondere a questioni globali come il cambiamento climatico e i rischi di pandemie. Ma gli effetti negativi di una deglobalizzazione disordinata oltrepasserebbero il campo strettamente economico. Essi finirebbero per ripercuotersi negativamente sulle relazioni politiche, la cooperazione, la pace.

La ricerca di nuove strategie e il ruolo di un nuovo partenariato con l’Africa
La seconda parte della conferenza analizzerà i nostri rapporti con l’Africa. A tale riguardo è fondamentale spostare l’accento dai rischi alle opportunità. La prolungata fase di ristagno dell’economia europea sottolinea la necessità di ripensare le nostre strategie di crescita. Uno stretto legame con aree del mondo geograficamente vicine e con elevate potenzialità e bisogni inespressi può aprire spazi di crescita comune e contribuire a rilanciare il modello di sviluppo europeo. Ciò richiede un attento coordinamento tra politiche economiche e industriali, politica estera e diplomazia economica. Per l’Italia il rafforzamento del partenariato con l’Africa può avere una valenza strategica. Il potenziale di espansione di quel continente è evidente, così come il suo ritardo economico. All’abbondanza di risorse naturali – incluse le materie prime essenziali per la produzione di energie rinnovabili – si aggiunge una popolazione giovane e in crescita.

In mancanza di politiche di cooperazione e assistenza lungimiranti, sarebbe invece difficile arginare la pressione migratoria delle popolazioni africane verso aree in grado di offrire migliori condizioni di vita. Se da un lato ciò incrementerebbe l’offerta di lavoro in paesi afflitti da una chiara tendenza all’invecchiamento, dall’altro lato un afflusso migratorio incontrollato porrebbe complessi problemi di integrazione sociale e lavorativa. Il programma del G7 a presidenza italiana assegna un ruolo centrale ai temi dello sviluppo e delle relazioni economiche e politiche con l’Africa, in continuità con iniziative. Il Piano Mattei del Governo italiano mira anch’esso a promuovere iniziative di cooperazione con i paesi africani, soprattutto con riferimento alla realizzazione di opere infrastrutturali, nelle quali le imprese italiane vantano una consolidata esperienza nel continente.

Le difficoltà e gli ostacoli per raggiungere uno sviluppo economico adeguato e duraturo dell’Africa sono molti e noti. Non ho il tempo di elencarli e analizzarli. Voglio invece accennare ai recenti progressi sul piano dell’integrazione regionale in Africa. L’accordo entrato in vigore nel 2021 per la creazione di un’area di libero scambio continentale può offrire un contributo rilevante alla crescita, superando la frammentazione dei mercati e favorendo lo sviluppo del settore industriale locale. La diversificazione produttiva e la crescita dei redditi che ne potrebbero derivare genererebbero opportunità commerciali anche per le esportazioni italiane. Ma un’area di libero scambio ha bisogno di adeguate infrastrutture fisiche, tecnologiche e finanziarie. Dato il mio ruolo voglio fare un breve cenno a queste ultime.
L’Africa ha bisogno di infrastrutture di pagamento e di mercato efficienti e tecnologicamente all’avanguardia, al fine di ridurre i costi e aumentare la sicurezza degli scambi finanziari sia per le imprese impegnate nel commercio internazionale, sia per le famiglie, che in molti casi dipendono dalle rimesse degli emigranti. I pagamenti transfrontalieri rappresentano un tema centrale nell’agenda del G20 e una parte importante del programma italiano del G7 a composizione finanziaria. Essi sono inoltre una priorità del Comitato sui sistemi di pagamento e sulle infrastrutture dei mercati (Cpmi) da me presieduto. Anche in questo ambito l’Africa negli ultimi anni ha fatto importanti passi avanti.

Ventuno paesi dispongono oggi di sistemi di pagamento istantanei. Sono inoltre operative diverse iniziative regionali che agevolano gli scambi e il regolamento in valuta.
Ciò nonostante, i dati raccolti dal Financial Stability Board evidenziano ancora forti ritardi. Ad esempio, i costi delle rimesse rimangono molto elevati, arrivando a superare il 10% dell’importo inviato. Una quota consistente dei flussi di pagamento transfrontalieri dei paesi africani ha come controparte operatori dell’area dell’euro. (...) Sono certo che il confronto odierno contribuirà a far luce sui temi legati alla frammentazione economica e politica e darà un apporto prezioso al dibattito, dimostrando ancora una volta l’importanza di mettere a fattor comune gli sforzi delle nostre Istituzioni.
Formulo a tutti i miei migliori auguri per un proficuo svolgimento dei lavori.

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