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Daniele Capezzone: Suviana, se il cardinale Zuppi parla come Landini

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Si sente parlare spesso- non di rado con ragione, purtroppo - di un decadimento generale del livello della nostra discussione pubblica: più bar che agorà, più urlo che ragionamento, più invettiva che persuasione, più emozione che argomentazione. Tutto vero: e chi è senza peccato scagli la prima pietra. In genere, si incolpano di questo stato di cose per un verso i politici, intrappolati come inconsapevoli criceti nella ruota di una campagna elettorale perenne, e per altro verso i talk-show, descritti come il luogo per antonomasia del wrestling verbale più che del pensiero articolato.

Ora, si può convenire in tutto, in parte o per nulla con queste attribuzioni principali di responsabilità: ma, ciò detto, non si può non constatare come, perfino in circostanze altamente drammatiche, a volte non siano né i politici (con eccezioni che vedremo) né i programmi radiotelevisivi a offrire il contributo più deludente, ma proprio quelle istanze morali dalle quali ci si aspetterebbe invece una parola meditata, alta, densa di significati, non banale, non partigiana, non intercambiabile con i rumori di fondo e la cacofonia alla quale siamo abituati. Con rispetto parlando, ad esempio, colpisce in negativo l’intervista rilasciata ieri alla Stampa dal capo dei vescovi italiani, il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, a proposito del tragico incidente avvenuto presso la centrale elettrica di Suviana. Vi propongo un gioco (per nulla divertente: anzi, dal sicuro effetto depressivo): provate a leggerla occultando il nome del reale intervistato, e sostituendolo che so - con quello del segretario della Cgil Maurizio Landini. Senza offesa per nessuno, non c’era una sola risposta del cardinale Zuppi che non potesse essere stata credibilmente fornita da Landini. Del resto concetti analoghi Zuppi li ha ripetuti in piazza a Bologna proprio alla manifestazione di Cgil e Uil («Dal palco scalda gli animi dei presenti», riferisce Avvenire sull’intervento del cardinale). Ma torno alla Stampa e cito alcuni estratti: «Se (l’occupazione) si trasforma in luogo di pericolo, oltre che di sfruttamento e ingiustizie, deve generare una corale e determinata repulsione».

 

 

 

E ancora: «Questo dramma impone coerenza e serietà negli impegni e nelle promesse, senza più proclami di facciata che finiscono nel vuoto, opportunismi». Più avanti: «Le chiamiamo “morti bianche”, ma in realtà non sono bianche, perché sporcano le nostre coscienze, sono troppo spesso conseguenza di deresponsabilizzazione». Gran finale: «Questa dinamica indica che è diffusa l’irresponsabilità, l’indifferenza. Ecco dove si annidano le responsabilità delle tragedie. E poi servirebbe cambiare la concezione del profitto, che non deve mai essere slegato dall’etica e dal bene comune». Prosegue il cardinale: «Uso come esempio una dinamica tipica: l’esternalizzazione del lavoro attraverso aziende o cooperative crea realtà più complicate da controllare. Accresce il precariato, e così la manodopera diventa sottocosto. Papa Francesco ha denunciato: “Non si può, in nome di un maggior profitto, chiedere troppe ore lavorative, facendo diminuire la concentrazione oppure pensare di annoverare le forme assicurative o le richieste di sicurezza come spese inutili e perdite di guadagno”». Ora, senza polemica, che senso ha abbandonarsi, a ricerche dei corpi appena concluse, ad affermazioni così generiche, non a fuoco, peraltro del tutto estranee alla specifica realtà dei fatti? In questo caso c’è stato - par di capire - un solo livello di subappalto. Le imprese coinvolte erano e sono tutte di elevata, anzi elevatissima specializzazione tecnica.

A morire sono stati sia titolari che dipendenti, gli uni e gli altri di categoria “senior”, non solo per età anagrafica ma anche per riconosciuta competenza e perizia. Stiamo cioè parlando di supertecnici altamente qualificati, non certo di personale sfruttato-improvvisato-irregolare-precario. Per capirci: questo episodio non c’entra nulla - che so con un crollo in un cantiere edile privo di controlli e popolato, in mezzo a una selva di subappalti, da personale immigrato clandestino e mal pagato. Eppure le parole del cardinale sembrano riferirsi in modo generico e intercambiabile a situazioni di quel genere, letteralmente incomparabili con quanto accaduto a Suviana. Con rispetto torno a chiedere: ma perché? Di più: autorevoli accademici, sentiti in questi giorni, hanno candidamente dichiarato di non aver ancora un’idea precisa di come l’incidente possa essere stato determinato. Con ammirevole prudenza, lo stesso procuratore capo di Bologna, che guida le indagini, ha ricompitato per tutti regole fondamentali di razionalità: prima di parlare di eventuali responsabilità, occorre accertare i fatti, cosa che ancora è ben lungi dall’essere avvenuta, nel mare di acqua-fango-detriti in cui i soccorritori si sono ritrovati.

 

 

E allora a che serve - per chiunque - abbandonarsi a osservazioni approssimative e inappropriate, adatte più a un comizio che a una riflessione ponderata? A onor del vero, avevano cominciato Maurizio Landini e Elly Schlein: il primo annunciando scioperi e proteste in modo automatico, roba da riflesso pavloviano, e la seconda buttandosi sulla scena della tragedia mostrando così solo la propria disperazione politica, nel tentativo - peraltro non riuscito - di sfuggire alle sabbie mobili che stanno divorando il suo partito a Bari e a Torino. Ma le mosse scomposte e fuori luogo di Schlein e Landini non sono una giustificazione per nessuno. Buttarla in politica, anzi volgere il discorso in una direzione vaga e imprecisa, è sempre un errore e un’occasione mancata: anche se a farlo - ovviamente in buona fede e con ottime intenzioni, ne siamo certi- è un potente e rispettato cardinale.

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