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Francesco Baccini: "La colpa di Toti? Fare troppo"

Pietro Senaldi
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«Ormai a me non stupisce nulla di quel che leggo sui giornali; però una cosa voglio dirla su noi genovesi, che siamo italiani atipici ma non in questo: noi consideriamo bene chi non si sbilancia mai, chi non corre rischi e non prende posizione. Dovrebbe essere un difetto l’ignavia, almeno stando a Dante, invece qui è il contrario: se fai scelte forti, sono tutti con te finché va bene, poi ti volti e non c’è nessuno, il classico armiamoci e partite...».

Allude a Giovanni Toti, presidente della Liguria agli arresti? 
«La sua vera colpa forse è di aver fatto troppe cose. A lui voglio dedicare una canzone...».
Avevo visto un re? 
«Enzo Jannacci va sempre bene, ma...».
Per restare in Liguria: Ciao amore, ciao di Luigi Tenco? 
«Immenso, aveva previsto tutto, si risenta La ballata della moda, scritta nel 1964. Poco nota, quando arrivi troppo presto sulle cose è così. Però pensavo a qualcosa di mio».
Giulio Andreotti!!! Il capro espiatorio dei mali d’Italia, come oggi Toti è di quelli liguri... 
«Ecco, fai una canzone e poi te la riciclano in eterno, dura per sempre. Quello era un periodo particolare; pochi mesi dopo scoppiò Tangentopoli».
Ci sono tante similitudini con la storia di trent’anni fa... 
«Io però la Liguria non la vedo così male. Anzi, a me sembra molto migliorata rispetto a quando ero ragazzo, e molto anche grazie all’ultimo decennio. No, io pensavo a L’equilibrista: “Ogni sera io cavalco l’onda, ma senza il mare e questo fa la differenza... faccio l’equilibrista, a testa in giù non so perché ma ne sento il bisogno, toglietemi la rete tanto non casco, sono un equilibrista...”».
Davvero non casca? 
«Questo non lo so. Però mi ha colpito una cosa di lui: i genovesi lo hanno accettato benché sia viareggino. Molto insolito. Noi genovesi diffidiamo degli stranieri, perché al porto sbarca di tutto, devi prima prendere le misure. Lui è un governatore ben voluto».

 

 

 

Francesco Baccini ha il cuore rossoblù. È genoano di San Teodoro, quartiere proletario, figlio di un portuale e a sua volta portuale per un periodo, «anche se il liceo l’ho fatto con i ricchi del Convitto Colombo». Sta per partire con “Archi e frecce”, un tour acustico dove rivista il suo repertorio e aggiunge qualche inedito, accompagnato solo da un quartetto d’archi di sole donne; «le frecce sono le mie canzoni», spiega. «Quando ho iniziato a girare l’Italia per fare musica» racconta, «ho lasciato una città grigia, un po’ depressa, con grandi aree abbandonate e in degrado; tornandoci mi sembrava anche pericolosa. Si usciva poco la sera, per citare Lucio Dalla. Oggi è tutto diverso, è vitale, ripulita, finanche allegra, si respira aria di festa».

Una voce, non a caso intonata, fuori dal coro dei genovesi che, all’indomani dell’inchiesta che ha «decapitato» la regione, come titola Il Secolo XIX, si sono esercitati in commemorazioni struggente della Genova che fu, pudica, signorile, europea, al centro del mondo, , non come quella di oggi «volgare e irriconoscibile, in mano ai faccendieri», come la racconta su La Stampa lo scrittore Maurizio Maggiani.
«Io questo declino non lo vedo», riflette Baccini; anzi. Genova era una città chiusa, la superba, dove la gente è educata a non darti soddisfazione. Ricordo che tornai dopo aver vinto il Festivalbar con Sotto questo sole e al muretto i miei amici mi chiedevano dove fossi finito. E quando risposi che venivo da Verona, e avevo appena vinto il Festivalbar, quelli replicarono «Ah, ecco dove ti abbiamo visto...». La verità, secondo Baccini, è che «il genovese ha il mugugno nel dna, anche quando le cose vanno bene». Il famoso “maniman”, il nostro detto che significa che non si può mai star tranquilli. Caro Toti, maniman, dunque...

 

 

 

RIPULITA

E proprio perché “maniman”, se si vuol trovare un pelo nell’uovo, questa esplosione di vita e divertimento, questi turisti che fanno la cosa per vedere l’acquario e poi scoprono tutte le bellezze di un centro “ripulito”, parola d’artista, hanno come contrappasso che oggi la musica si suona nei bar, ma non si crea più tanto. «C’è troppo buon umore perché vengano fuori i cantanti. Gli artisti sbocciano nelle difficoltà. Se non hai nulla, giochi con una pezza e diventi Maradona. Se hai tutto, non giochi con nulla. Noi artisti siamo tutti un po’ spostati; oggi Genova è troppo linda». Anche sulla perduta centralità «c’è poi da ridire», come cantava un re della musica genovese, Fabrizio De André, in Carlo Martello.

«Finché resti a Genova» racconta Baccini, «sei convinto che tutto il mondo ruoti intorno a te; poi esci e ti accorgi che non ti fila nessuno, se non per il Salone Nautico. Infortuni che se sei nato nella Superba, il nomignolo che la città si è guadagnata nel mondo, sono naturali. Così però era un tempo, in questi anni la musica è cambiata, i genovesi sono attrattivi e Genova non è diventata solo un polo turistico, cosa che è un successo da rivendicare, ma anche un centro culturale, richiama gente da tutto il mondo, i milanesi ci vengono anche a vivere mentre un tempo andavano solo a Santa Margherita».

Già, il modello Toti è quello che ha rilanciato tutta la Liguria, non solo le perle come Portofino, Sestri Levante e i suoi due mari, Sanremo con il casinò o le Cinque Terre.
«Me ne accorgo quando faccio i concerti: oggi non ci sono più località balneari di serie B», è l’acuto di Baccini, che forse oggi non scriverebbe più che le donne di Genova non ridono per niente e pensano sia normale mettersi a letto e leggere il giornale, testo e musica di trent’anni fa circa. Anche se una cosa non si discute, «noi di Genova siamo l’opposto dei milanesi, che ostentano tutto, noi restiamo un po’ chiusi, i superbi...». Sì, perché non basterebbero cento Toti a cambiare il carattere di una popolazione. E neppure l’anima di una città, che è conservatrice per convinzione.

 

L’ANIMA DELLA CITTÀ

Non è vero, come afferma chi oggi lo scarica o lo denigra, che Toti ha cambiato l’anima della città. «Qui» racconta Baccini, «a differenza di Milano ci sono ancora i negozietti. Quando vado al quartiere da mia madre, faccio la spesa dallo stesso ortolano dove andavo da ragazzo. La sola differenza è che dietro al banco oggi c’è la figlia. Per il resto è cambiato davvero poco, anche i bar sono sempre gli stessi, non aprono e chiudono in un paio d’anni, come nelle grandi città».

Previsioni sulla sorte dell’equilibrista? Sarebbe ingeneroso farle, e poi un genovese raramente sa essere clemente. «Siamo stati per novecento anni una repubblica, dove ciascuno mugugnava la sua» smorza Baccini, «l’uomo forte non ci ha mai innamorato», e forse questo è il problema del Toti ferito, essere stato troppo potente per venire perdonato, anche fosse solo di questo.

Non è neanche più questione di destra contro sinistra, malgrado naturalmente l’opposizione cavalchi a più non posso l’inchiesta. «Che cos’è la destra, che cos’è la sinistra», riflette il cantante citando Giorgio Gaber. «La sinistra è morta nel 1977» glielo dice uno dei quartieri proletari. «Genova era di sinistra, città della resistenza, città di porto e operai. Io voglio star fuori dalla politica, benché mi abbiano chiesto più volte di candidarmi, proposte bipartisan perché, forse grazie all’arma dell’ironia, che arriva e colpisce dove vuole, le mie canzoni hanno un pubblico che va da Fdi a Rifondazione, però secondo me oggi ci sono due destre, una più una meno». La sentisse Elly Schlein... «Non è una questione di singoli, ma di tempi. Ormai ha vinto la democrazia all’americana, domina l’individualismo. Tu vinci, io cerco di abbatterti in tutti i modi e poi mi metto al tuo posto, alla sudamericana, come nel Dittatore dello Stato libero di Bananas, il film di Woody Allen. Tutti i partiti pensano solo a loro stessi e così fanno i singoli in ciascuna formazione. Manca il concetto di bene comune; e se uno fa qualcosa, è già abbastanza; per questo Toti aveva aspetti positivi, perché fa: basta pensare al Ponte Morandi, alla rapidità con cui è stata rimarginata questa ferita dolorosissima che sventrava la città. Anche a lui va dato merito di questo successo, sul quale non avrei mai scommesso».

Fare le cose. I mesi prossimi diranno se la città e la regione continueranno. «In città» spiega Buccini, «c’è un torrente, il Bisagno, che per anni esondava ogni volta che piovevano due gocce». Oggi hanno finalmente realizzato lo scolmatore, «ma ricordo che, governava il sindaco Marco Doria, io e Cristiano de André una volta inscenammo una protesta perché qualcuno facesse qualcosa. Tanta partecipazione quel giorno, poi per lustri il nulla. Soluzione all’italiana: per risolvere il problema, speriamo che piova di meno».

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