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Riforma del Senato, Pietro Grasso ghigliottina Renzi

Giulio Bucchi
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Niente ghigliottina totale o altra misura eccezionale. Nonostante i 78 milioni di emendamenti, opera dell'algoritmo di Roberto Calderoli, il presidente del Senato ha deciso di procedere, sulla riforma del Senato, articolo per articolo. Emendamento per emendamento. E anche riguardo all'articolo 2, rispetto a cui si attende da settimane la sua decisione sulla possibilità o no di modificarlo, darà indicazioni «quando ci si arriva». La novità trapela a sera, da un Palazzo Madama dove sono rimasti solo i commessi e i collaboratori del premier. Non che si pensasse fosse tutto risolto. Proprio il ministro Maria Elena Boschi, ieri mattina, aveva detto di essere «prudente» sull'esito della vicenda, dicendo di voler aspettare l'ultimo voto per dirsi tranquilla. Ed era palese, ormai da giorni, che i rapporti tra presidenza del Senato e Palazzo Chigi erano tesissimi. Ma la decisione di Grasso, che verrà resa ufficiale oggi, quando inizierà l'illustrazione degli emendamenti, è comunque una doccia fredda per Matteo Renzi. Una sfida aperta al premier, a cui - evidentemente - Grasso non ha perdonato alcune uscite giudicate irrispettose del suo ruolo. Così come la decisione di affrettare i tempi. La vendetta, però, va servita fredda. E ora, a tempo debito, è arrivata. Perché è vero che alcuni argomenti, a favore di questa scelta, ci sono. Procedere come se nulla fosse, articolo per articolo, è un modo per garantire le opposizioni, per verificare se davvero il governo ha intenzione di modificare l'articolo 2, secondo l'accordo siglato con la minoranza Pd. In questo modo si sgombra il campo dal sospetto, che gira nella minoranza, che il governo a un certo punto interrompa la discussione e voti il testo così com'è. Intanto iniziamo a votare, poi si vede. Ma la lettura politica che ne danno i fedelissimi del premier è più pesante: «È ovvio che c'è un tentativo di tirarla in lunga, in modo da non rispettare la scadenza del 13 ottobre». Se, infatti, si scavalla quella data, cioè se non si arriva al voto finale entro il 13, la riforma del Senato dovrà per forza essere rinviata a dopo la sessione di bilancio. Il 15 ottobre, infatti, deve di rigore iniziare l'esame della legge di stabilità. E occorreranno due settimane prima che si passi ad altro. La vendetta di Grasso, dunque, punterebbe a questo: far saltare la road map decisa dal premier, compreso il referendum confermativo previsto per la prossima primavera. Da New York Renzi si dice tranquillo: «Non c'è nessuna impasse» perché i milioni di emendamenti «sono stati presentati con una modalità tecnica non conforme al regolamento», quindi «di che stiamo parlando?». Ma se la linea è quella di procedere articolo per articolo, senza utilizzare alcuna misura ammazza-emendamenti, i tempi si allungano. Oggi, intanto, comincerà l'esame in Aula degli emendamenti. Mercoledì si dovrebbe cominciare a votare. Ma se Grasso non cambia idea e Calderoli non ritira le modifiche, lo stallo è assicurato. La mossa del presidente del Senato arriva, poi, alla fine di una giornata segnata da nuove fibrillazioni dentro il Pd. Vannino Chiti ha chiesto di rivedere anche le norme transitorie e le modalità dell'elezione del presidente della Repubblica. E Pier Luigi Bersani, oltre a ribadire le richieste di Chiti, ha attaccato l'operazione di allargamento della maggioranza agli ex azzurri. «In Parlamento», ha detto, intervistato da Giovanni Minoli, «vedo il senatore Verdini e compagnia, con gli amici di Cosentino, che stanno cercando di entrare nel giardino di casa nostra per fare la coalizione della nazione o il partito della nazione. Siccome questo è un delirio trasformista, mi aspetterei che dal Nazareno venisse una parola chiara». L'unico a replicare è stato il senatore Andrea Marcucci, spiegando che «serve il coinvolgimento dell'opposizione», come chiede anche la minoranza. Ma tra i fedelissimi del premier è suonato l'allarme. Soprattutto perché l'attacco di Bersani si somma al gioco al rialzo su altri articoli della riforma. «Si è fatto un accordo, basta. Non è che si può riaprirlo ogni giorno», ha detto il ministro Boschi ai suoi. Anche perché, spiegano al Senato, l'accordo prevede una «legge quadro nazionale». E lì ci si occuperà di cosa accadrà alla prima applicazione della riforma. Perciò le richieste della minoranza «sono pretestuose». In ogni caso non c'è intenzione, da parte del governo, di aprire a nuove modifiche. di Elisa Calessi

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