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Referendum e scioglimento delle Camere: la difficile partita tra Mattarella e Renzi

Giulio Bucchi
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Sergio Mattarella cresce nel gradimento degli italiani. Secondo l'Istituto Ixè il Presidente della Repubblica ha la fiducia del 60% degli elettori. Secondo solo a Papa Francesco, che è stimato dall'88% dei nostri connazionali. È l'effetto-Quirinale. Chi si siede al Colle, nella percezione dell'opinione pubblica, si spoglia della propria appartenenza politica e diventa un punto di riferimento per tutti. Successe anche a Giorgio Napolitano, nei primi anni del Settennato. Quando, pur essendo il primo “comunista” a diventare Capo dello Stato, fu attento a non concedere troppi favori alla sua “squadra del cuore”. Poi però, complice una politica in piena crisi di credibilità e consenso, “Re Giorgio” iniziò a guadagnare metri di campo, intestandosi addirittura la paternità di due governi. Quello di Mario Monti e quello di Enrico Letta. E addio alla corona di super partes. Il suo successore? Il primo anno di navigazione è stato placido per Mattarella. A Palazzo Chigi siede un premier che, pur privo del sigillo popolare, ha tenuto botta per mancanza di avversari. E anche grazie a quello spirito di autoconservazione di una classe parlamentare che, al prossimo giro, finirà decimata. Però c'è uno scoglio lungo la rotta del timoniere quirinalizio. Lo affronterà in autunno, quando gli elettori saranno chiamati a decidere sulle riforme costituzionali. Che prevalgano i sì o i no, nulla sarà come prima. Se dovessero vincere i sì, la pratica per il Presidente della Repubblica sarebbe più facile. Il Colle dovrebbe semplicemente prendere atto del nuovo assetto istituzionale, mandando la Camera al voto (primavera 2017) e il Senato in pensione. Un reset fondamentale per Renzi, in difficoltà con un'economia che non riparte e promesse che gli ritornano indietro. Ma se invece gli italiani dovessero cassare il testo dalla ministra Maria Elena Boschi, approvato in doppia lettura da Camera e Senato, cosa succede? Il premier ha già giurato solennemente: «Se bocciano le riforme, io mi dimetto». E se il segretario del partito di maggioranza relativa lascia Palazzo Chigi, cosa fa Mattarella? Bella domanda. Il Capo dello Stato si troverebbe ad assumere la prima decisione politica dopo mesi di notariato. Da un lato Renzi chiederebbe di passare subito la parola all'elettorato chiudendo anticipatamente la Legislatura. Dall'altro lato, però, Mattarella non potrebbe chiudere gli occhi di fronte a eventuali maggioranze alternative. La minoranza del Pd, i Cinquestelle, i centristi: in tanti trarrebbero vantaggio dal tenere l'ex sindaco di Firenze a bagnomaria. Anche Forza Italia, che non ha alcun interesse ad anticipare la conclusione della legislatura, perché fino al 2018 Silvio Berlusconi rimane non candidabile per gli effetti della legge Severino. Come dimenticare poi il partito della pagnotta: a un anno dal traguardo della pensione (diritto che si matura solo al completamento dei cinque anni di mandato), i “no-voto” diventano il primo gruppo parlamentare per consistenza. Alla fine è la storia che insegna: dall'apertura di una crisi al buio può uscire di tutto. Per esempio, la riproposizione di un governo tecnico guidato da Mario Monti, amato dalle cancellerie europee nella stessa misura in cui Renzi sta sulle balle. Ma la scelta tocca a lui. A Mattarella. di Salvatore Dama

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