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Giorgia Meloni, missione in Ungheria: "Come caccio i clandestini. I radical chic? In miniera"

Andrea Tempestini
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«Patria, famiglia, niente immigrazione illegale, frontiere chiuse anche all'Europa succube di Merkel e Macron, poche tasse e aiuti alle imprese che creano lavoro sul territorio. Sono venuta qui a Budapest a consegnare a Viktor Orban la tessera di Fratelli d'Italia, è uno di noi». E lui ha apprezzato? «Mi ha detto che era felice di incontrare la seconda donna coraggiosa in un mese, l'altra è la ministra australiana all'Immigrazione, quella dei respingimenti in mare, anzi in Oceano. E poi mi ha chiesto di tornare qui dopo il 4 marzo, quando avremo vinto, a sostenerlo in vista delle elezioni politiche in Ungheria, l'8 aprile». Leggi anche: Giorgia Meloni demolisce la Guerritore: "Bene, sapete chi è suo marito?" Lei sa che Orban non gode di buona stampa in Europa, lo considerano un dittatore fascista? «Un fascista del Ppe, visto che a Bruxelles sta lì. È il solito schema: quando qualcuno non sottostà ai diktat europei dell'immigrazione incontrollata, della fine degli Stati nazionali e dello strapotere di finanza speculativa, banche e multinazionali, gli danno dello xenofobo e del razzista, anche se non fa altro che dire cose di buon senso e far rispettare le regole». Sì, ma perché è andata a Budapest a tre giorni dal voto: non teme di dare argomenti a chi la accusa di nostalgie del Ventennio? «Sono andata per capire qualcosa di più delle politiche che si portano avanti a Budapest. E poi ho voluto rispondere con un gesto forte a Gentiloni, il cui culmine della campagna elettorale è stato andare a Berlino a inginocchiarsi dalla Merkel e rassicurarla che finché ci sarà lui l'Italia resterà al servizio della Cancelliera. Trovo avvilente la processione dei nostri politici a farsi accreditare da chi in Europa fa solo i propri interessi e non i nostri, Juncker incluso». Che cosa le piacerebbe importare dall'Ungheria? «La tassazione fissa al 15%, con esenzione totale per chi ha tre figli. Gli asili nido gratis, il 5% del Pil investito sulla famiglia, che è il vero modo con cui si risolve il problema demografico, i muri all'immigrazione clandestina, la difesa dell'identità cristiana e le super tasse a banche e speculatori, con i soldi reinvestiti in welfare». Cosa ha deciso con il premier ungherese? «Abbiamo iniziato un rapporto che continuerà quando saremo anche noi al governo. Vorrei che l'Italia collaborasse con i Paesi del gruppo di Visegrad - Ungheria, Polonia, Repubblica Ceka e Slovacchia -, che dal 1993 si adoperano per salvaguardare gli interessi nazionali dal pensiero unico e dall'omologazione che Bruxelles cerca di imporci». Che ruolo pensa per noi? «Questi Stati hanno le idee chiare. Rimproverano all'Occidente di averli consegnati alla dittatura sovietica barattando la propria libertà con la loro e, dopo aver combattuto il comunismo per decenni e aver vinto, ravvisano inquietanti similitudini tra l'Urss di Kruscev e l'Unione Europea della Merkel, e lottano per non cascare da una dittatura all'altra». E fin qui la seguo, ma a noi cosa importa? «Siccome sono gli ultimi arrivati nella Ue, hanno bisogno di un Paese fondatore alleato che li accrediti e ne rinforzi la posizione. L'interesse è reciproco, visto che noi siamo stati annichiliti dall'Europa, dopo che Francia, Gran Bretagna e Germania nel 2011 hanno aggredito l'Italia per cacciare Berlusconi, che ne difendeva gli interessi economici e politici grazie ai rapporti privilegiati con Putin e Gheddafi». Sono passati sette anni e ancora brucia… «Mi stupisco non bruci ancora a Berlusconi, forse oggi si è dimenticato perché è stato cacciato a colpi di spread, con la Deutsche Bank che in 48 ore ha svenduto miliardi di debito pubblico italiano. È stato l'inizio della fine, da allora sono iniziati l'immigrazione incontrollata e l'assalto alla nostra economia e ai nostri interessi in Africa e Medio Oriente. Risultato: abbiamo centinaia di migliaia di clandestini e tutte le nostre grandi aziende sono diventate straniere. Silvio forse lo ha dimenticato ma io no. Come non mi scordo di Napolitano, che ha tradito il proprio Paese, passando dai carri armati dell'Armata Rossa, che il presidente difese quando nel '56 qui a Budapest spararono sulla folla, a quelli della Merkel, ai quali ha consentito si sparare sul proprio nemico politico anche se a rimetterci è stata tutta l'Italia». La presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, spalanca gli occhioni più blu del Danubio quando Orban le parla di difesa dei cittadini e immigrazione. Ha un'espressione innamorata. «L'Europa lo criminalizza ma noi dovremmo ringraziarlo» è il ragionamento, «se non avesse fermato l'invasione da Est, l'Italia oggi sarebbe nella morsa dell'immigrazione, dai Balcani e dal Mediterraneo». Siamo in fase di riflessioni geopolitiche e riscrittura della storia. «E mi scusi se per una volta la scrivo a modo mio» sbotta Meloni, «ma per tutta la campagna elettorale mi hanno fatto tenere lezioni di storia e filosofia anziché parlare del mio programma costringendomi a parlare di fascismo. Non c'era verso di farli smettere, neppure a parolacce. Sarebbero da manicomio se non fosse che questa storia dell'antifascismo è tutta una scusa per non farmi parlare dei miei programmi. Mi invitano in tv per processarmi anziché lasciarmi spiegare come abbasserei le tasse, rivitalizzerei le nostre imprese, difenderei il made in Italy e terrei fuori gli immigrati. Sanno che sarei convincente e non mi consentono di farlo. In campagna elettorale sono diventati tutti antifascisti a parole e meloniani nei programmi: Minniti mi ha copiato quello sull'immigrazione, Di Maio dice prima gli italiani, Berlusconi parla di detassare gli incrementi di reddito. Approfitto dell'intervista per Libero per fare una denuncia alla stampa». Prego, onorevole… «È scorretto che il mio tempo in par condicio venga utilizzato per dare la parola a chi è contro di me e che venga consentito ai miei interlocutori di zittirmi e non lasciarmi finire le frasi. L'altra sera ero a Otto e Mezzo dalla Gruber: ne avevo tre contro, Zucconi, che lavora e paga le tasse in America ma a ogni elezione viene qui a spiegarci come dovremmo vivere in Italia, da che pulpito, la Guerritore, che mi ha accusato di essere una specie di Erode e di essere spietata con gli immigrati da aiutare, e poi scopro che suo marito è il presidente del Consiglio Italiano per i Rifugiati, bel conflitto d'interessi non denunciato, e la Gruber stessa, che mi ha sorpreso, era anche lei in campagna elettorale, mi ha attaccato e interrotto in ogni modo». Perché è stata al gioco? «Sono una combattente e poi credo che la gente a casa riconosca la malafede. Questi radical chic sono così autoreferenziali che non si rendono conto di come vengono percepiti. Dopo la trasmissione ho ricevuto telefonate di solidarietà perfino da giornalisti di sinistra e de La7 e un autorevole collega di Lilli mi ha detto che le si vedevano i lampi d'odio negli occhi… Il giorno dopo hanno invitato Bersani: senza contraddittorio». Lei attacca molto la Boldrini... «Sì, le ho fatto il cartello “Radical chic in miniera”. Siccome non può parlare di come ha fatto il presidente della Camera, facendo approvare con la ghigliottina le leggi di Renzi, che ora sfida, prima fra tutte quella che svende Bankitalia agli istituti privati, né tanto meno di immigrazione o donne, per le quali al di là delle parole non ha fatto nulla, si è buttata sull'antifascismo. Imbarazzante». Che cosa vi direte oggi lei, Berlusconi e Salvini, finalmente insieme? «Ciao. Scherzi a parte, ci diremo in bocca al lupo a noi. Era necessaria una manifestazione per dire al nostro elettorato che siamo compatti. Berlusconi e Salvini hanno battibeccato un po' troppo in questi mesi, a tratti è sembrato che ci tenessero più l'uno a sconfiggere l'altro anziché a battere Di Maio e Renzi. Un gesto di unità può convincere gli indecisi». Berlusconi ha indicato Tajani premier... «Non è il mio candidato, ma se il centrodestra avrà la maggioranza e Forza Italia sarà il primo partito della coalizione, starò ai patti. Gli italiani ora non hanno che da decidere chi vogliono, tra Meloni, Salvini e Tajani, a guidare la nazione, e votare di conseguenza». E se il centrodestra i numeri non li avesse, teme l'inciucio? «Ho guardato bene le liste di tutti i partiti e posso dire che mi fido solo delle mie. Nessuno di noi inciucerà. Poi certo, è più facile ammazzare un elefante a schiaffi che convincere un parlamentare appena eletto a rivotare e altri hanno candidato di tutto, anche poltronari che io ho rifiutato». È ottimista per il dopo elezioni o la pensa come Juncker, secondo il quale l'Italia sarebbe a rischio ingovernabilità? «Come Juncker non la penserò mai, perché lui e la sua Europa sono anti-italiani. L'unica cosa di cui sono convinta è che il centrodestra è l'unico che può dare all'Italia un governo eletto, che ci manca da sette anni e della cui assenza stiamo pagando tutti il conto». Dalla cattolicissima Ungheria mi dica cosa pensa di Salvini con il rosario. «Mi ha stupito, io non l'avrei fatto, non siamo in Montana. So che alcuni cattolici hanno apprezzato e altri l'hanno ritenuto un gesto strumentale. Comunque, meglio il rosario dell'ampolla del dio Po, e poi mi sembrano peggio la Bonino e Renzi che fanno i comizi in Chiesa. In questa campagna elettorale ho visto di tutto, si fidi». Per esempio? «Ma non l'ha visto lo spot del Pd con il giovane che ringrazia Renzi per il bonus di 500 euro con il quale è potuto andare a vedere il concerto della Pausini? Perché non gli spiega nessuno che è anche grazie a quel bonus se ha un debito pubblico personale di 40mila euro sulle spalle?». di Pietro Senaldi

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