Giovanni Tria, il ministro dell'Economia tappa la bocca ai grillini spendaccioni
Si farà tutto. Ma con i tempi giusti. E solo quando si troveranno i quattrini necessari. Giovanni Tria è pacato, ma granitico. La discontinuità sarà nelle scelte, non nei conti. Su quelli non si discute. La cabina di regia è a via XX settembre. E per essere sicuro che nessuno sgarri, il ministro dell' Economia ha deciso di imbrigliare i punti del programma più rischiosi sotto il profilo della finanza pubblica in tre task force: una si occuperà di welfare, una di fisco e una di investimenti pubblici. Se non è un commissariamento, poco ci manca. Leggi anche: Alan Friedman massacra Tria e terrorizza gli italiani: profezia-choc sulle pensioni Saranno queste le sedi, ha spiegato Tria in audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, in cui si realizzeranno le priorità del contratto, a partire dai cavalli di battaglia: reddito di cittadinanza e flat tax. Le tre squadre lavoreranno in coordinamento con gli altri dicasteri. Ma tempi e modi, fa capire Tria, saranno decisi dall' Economia. Il reddito di cittadinanza, che «non sarà assistenziale», avrà un ruolo «ben definito, ma si può articolare in vari modi, i ministeri interessati lo stanno studiando». Quanto alla flat tax, «non si rinvia, ma va trovato un cronoprogramma per l' applicazione progressiva» con priorità al taglio delle imposte per «ceti medi e bassi» e per «le piccole imprese». Che Tria avesse il pieno controllo su tutte le voci di spesa lo si era già capito chiaramente nei giorni scorsi scorrendo il decreto dignità, che ha perso per strada tutta la parte della costosa riorganizzazione fiscale che Luigi Di Maio aveva sbandierato ai quattro venti. Ora il quadro cambia ancora. Il ministro detterà la linea su tutto il contratto di governo, intervendo sui provvedimenti ancor prima che siano scritti e, forse, anche annunciati. Perché lo spread è sempre in agguato. «Atti dell' esecutivo che metteranno in dubbio la tenuta dei conti, fino a prova contraria, non ce ne sono stati», ha sentenziato Tria. E non ce ne saranno. La strada è stretta. Anche perché c' è il rischio «di una moderata revisione al ribasso per la previsione di crescita del 2018». Questo non significa che il programma non verrà realizzato. Anzi. Le promesse vanno mantenute, per non «alimentare l' incertezza sui mercati». Ma l' orizzonte non è quello disegnato dall' entusiasmo della campagna elettorale o dalla necessità di conquistare margini di visibilità politica. Il perimetro è quello della legislatura. Ed è su quei tempi che si dovrà ragionare. NIENTE PATRIMONIALE - Quello che si spende, in ogni caso, andrà recuperato con tagli alle uscite. Di patrimoniale, infatti, non se ne parla. «Non sono favorevole», ha detto Tria. Quanto alla pace fiscale, si tratta di una misura una tantum, che non «può coprire programmi di spesa pluriennali, può servire solo come avvio». La strada tracciata dal ministro passa inevitabilmente anche da Bruxelles, cui verranno chiesti spazi di flessibilità: «Il governo si adopererà per ottenere dalle autorità europee lo spazio necessario per attuare i punti qualificanti del programma». Una flessibilità cui il Tesoro punta per evitare un aggiustamento dei conti «troppo drastico» nel 2019. La manovra non dovrà essere «restrittiva», ha spiegato Tria. E per questo sarà inevitabile uno slittamento del pareggio di bilancio. Questo non significa che il governo lavorerà in deficit. Resterà fermo, ha ribadito il ministro, «l' obiettivo di assicurare un calo del rapporto debito/pil e il non peggioramento del saldo strutturale». Il rigido rispetto dei vincoli di bilancio non vuol dire comunque piegarsi alla Ue. La necessità, ha detto il ministro, «che non ci sia alcuna inversione di tendenza nel percorso di aggiustamento strutturale, non deriva principalmente dagli impegni europei, pur importanti, ma dalla necessità di mantenere e rafforzare la fiducia degli investitori internazionali e nazionali nei confronti dell' economia italiana». MANOVRA BIS - Fiducia che non passa dalla correzione dei conti in corsa. Nei mesi passati l' Europa ha insistentemente bacchettato il precedente esecutivo per non aver migliorato il deficit strutturale dello 0,3% del pil nei conti del 2018, come chiesto da Bruxelles. Il che significa, numeri alla mano, che mancherebbero all' appello circa 6 miliardi di euro, se non di più. Secondo Confindustria, che, va detto, non ha grande simpatia per l' attuale governo, il peggioramento della crescita porterebbe l' asticella addirittura a 9 miliardi. L' ipotesi, nelle ultime settimane di duello con la Ue sui migranti, è un po' finita sottotraccia, ma è tuttora sul tavolo. Al punto che il viceministro dell' Economia, la grillina Laura Castelli, ha ammesso qualche giorno fa che la manovra bis «pare» si debba fare. Tutt' altra l' idea di Tria, anche qui costretto a correggere le intemperanze pentastellate. «Non è intenzione del governo adottare alcuna misura correttiva» del bilancio, ha chiarito Tria. Mettendo fine alle indiscrezioni. E mandando un messaggio preciso a Bruxelles. di Sandro Iacometti