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Giancarlo Giorgetti, Franco Bechis e l'indiscrezione: "Dove vuole arrivare davvero", non lo fermano più

Giulio Bucchi
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Con il suo modo un po' vetero democristiano di dire le cose a proposito del tripudio dei ministri M5S dal balcone di palazzo Chigi, ieri in un' intervista il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha spiegato di non condividerne il modo come avrebbe fatto un tempo Giulio Andreotti. «Lì per lì», ha spiegato, «non mi ero nemmeno accorto di quel che stava avvenendo. Leggi anche: Giorgetti, l'asse con Mattarella per riscrivere la manovra Diciamo che l' unica immagine che voglio conservare di quella sera è la processione dei fedeli di Santa Maria in Via, la chiesetta di fronte Palazzo Chigi, con le candele e la banda. Mi ha fatto pensare alle processioni di quand' ero bambino, al mio paese». Nel resto dell' intervista Giorgetti ha fatto capire i motivi di quella prudenza, e non ha nascosto la sofferenza patita dal ministro dell' Economia, Giovanni Tria, per quella decisione imposta (il «ragionevole compromesso») del deficit/pil fissato al 2,4% dopo che lo stesso aveva nell' ultima settimana telefonato a banchieri centrali e istituzioni finanziarie e politiche europee assicurando che non avrebbe superato l' 1,6%. Giorgetti sostiene che un rischio di attacco sui mercati finanziari al debito pubblico italiano c' è «ma è stato ponderato. Vedremo i risultati». Ma ha anche aggiunto che se questi non dovessero essere positivi «potrebbero essere adottati dei meccanismi di correzione automatica sulla spesa, per non scardinare i conti pubblici». E in altro passaggio ha fatto capire che questa correzione potrà avvenire «anche prima della stesura definitiva della manovra e della sua approvazione: ci è chiara l' esigenza della sostenibilità del debito, ma pensiamo che lo si possa sostenere solo se si creano più che in passato ricchezza e sviluppo». Giorgetti - che non parla molto - quando lo fa ha sempre, oltre a una simpatia personale, anche una evidente ragionevolezza. È l' uomo che tira il freno a mano quando se ne avverte il bisogno, un po' come faceva Gianni Letta quando al timone c' era la coalizione guidata da Silvio Berlusconi che non era - se qualcuno fa sforzo di memoria - meno variopinta di questa. La prudenza agli occhi dei più è saggia, ma l' esperienza passata insegna che proprio nell' eccesso di prudenza e ragionevolezza spesso sono caduti i grandi programmi: alla fine è stata il tallone di Achille dei governi, per altro non salvando dai cataclismi quando questi si dovessero presentare. Se prudenza volesse dire dovere inserire una nuova clausola di salvaguardia come quella che, così consigliato, inserì Berlusconi nel 2011 sull' Iva, sarebbe sciagurata. Oggi prima di fare una qualsiasi manovra bisogna ancora mettere da parte 12,5 miliardi per disinnescare quelle clausole. Se ne viene inserita un' altra ogni anno, i governi dovranno partire da -20 miliardi e forse ancora di più. Ma coraggio e non prudenza ci vuole anche per altro. Ad esempio la flat tax. Ricordo che qualcosa di simile voleva Giulio Tremonti fra il 2001 e il 2006. Vinse la prudenza, le aliquote furono ridotte un po' alla volta e non ci fu alcun effetto né per la gente né per i conti pubblici. La flat tax non si può dosare come una medicina. È rischiosa, ma può funzionare e recuperare evasione solo se arriva in un colpo solo: da domani 15% per tutti. Troppo? 20%. Ma se la si introduce per gradi, oggi una goccia, domani un' altra e così via, non ha alcuna speranza di effetto choc. Forse non ce l' ha in negativo, di sicuro non l' avrebbe in positivo come ha dimostrato l' esempio di ogni paese in cui qualcosa di simile sia stato tentato... di Franco Bechis

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