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Matteo Salvini, l'ultimo trionfo: anche il Censis costretto ad ammettere che oggi l'Italia vuole lui

Davide Locano
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Siamo bastardi dentro, e un po' - ammettiamolo - è colpa di Matteo Salvini. Questo, in sintesi, si trae dall'oracolo Censis - Centro Studi Investimenti Sociali - che, nei suoi periodici rapporti socioeconomici dati in pasto alla stampa, riesce sempre ad ammantare i frutti di un' economica sghemba con una sfiga quasi letteraria. Oggi il Censis s'è superato. Stavolta, in epoca salviniana, agli occhi dell' osservatorio di Giuseppe De Rita, gl'italiani appaiono cattivi, lividi, rancorosi come i povericristi della Londra malnutrita di Charles Dickens. E sono inaciditi a causa dell' economia perennemente stagnante (in 17 anni il nostro salario medio è aumentato di 400 euro l' anno mentre in Francia sono a oltre 6 mila euro in più l' anno, in Germania i 5 mila). E sono delusi «per lo sfiorire della ripresa e per l' atteso cambiamento miracoloso che non c' è stato». E sono diffidenti verso le istituzioni politiche, specie quelle europee, dato che solo il 43% crede che l' Europa sia una buona idea (a differenza del 68% della media continentale). E sono finanche incazzati, i compatrioti, soprattutto, al punto da «erigere muri invisibili ma spessi», contro - ma va? - gli stranieri. Leggi anche: "Te lo ricordi Fini?": Storace, che guata su Salvini LE PERCENTUALI Dice infatti il Censis: «Il 69,7% degli italiani non vorrebbe i rom come vicini di casa e il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani. La quota raggiunge il 57% tra le persone più povere». E il 63% vede in negativo l'immigrazione tout court; e il 45% di noi è ostile anche verso gli immigrati comunitari; e quasi il 60% è convinto che tra dieci anni in quest' Italietta lacerata non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse, anzi. E potrei sommergervi di cifre, ma la sostanza è quella. Ed ecco che, accanto al fronte immigrazione, si apre quello sul voto: alle ultime elezioni politiche gli astenuti e i votanti scheda bianca o nulla sono stati 13,7 milioni alla Camera e 12,6 al Senato. Pratica schizzata negli ultimi decenni: dal 1968 a oggi l' area del non voto è salita dall' 11,3% di 50 anni fa, al 29,4%. Inoltre, il 49% degli italiani crede che gli attuali politici siano tutti uguali, mentre divide il loro uso dei social network: per il 52,9% «sono inutili o dannosi, contro il 47,1% che li apprezza perché eliminano ogni filtro nel rapporto cittadini-leader politici». A proposito di social network: la metà degli italiani, il 49,5%, è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso sbracando in Rete. E la conseguente, montante ostilità verso il prossimo produce effetti sociali a catena: ci si sposa sempre meno e ci si separa sempre di più. Patti sociale e rottura delle relazioni affettive stabili: dal 2006 al 2016 i matrimoni sono diminuiti del 17,4% e le separazioni sono aumentate del 14%. Insomma, un gorgo di pessimismo cosmico. Secondo il Censis, insomma, saremmo tutti razzisti, disperati, portati naturalmente a mettere mano al revolver. Saremmo, in soldoni, malvagi senza redenzione. E la colpa, di riffa e di raffa, è un po' del barbaro leghista pronto salire in Europa. La suddetta sarà un' interpretazione forse estensiva del ponderoso dossier che ci addita come «intolleranti fino alla cattiveria». Ma la parola usata e abusata, qui, dal Censis, brilla di una sua inedita semantica: «sovranismo psichico», «prima che politico». Sovranismo. Termine qui plasmato per raccontare la nostra subordinazione mentale alla ricerca di «un sovrano autoritario a cui chiedere stabilità» (ovviamente il sovrano autoritario non è specificato, ma il nome è facilmente intuibile). Termine che talvolta assume i profili paranoici della «caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria - dopo e oltre il rancore - diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare». TESI POLITICA Il Censis non fotografa l' Italia, semmai la pennella. Afferma, infatti: «Il popolo si ricostituisce nell' idea di una nazione sovrana supponendo» che «le cause dell' ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale». Se «siamo di fronte a una politica dell' annuncio», giudica sempre il pregiato istituto «serve una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vincoli di rancore o in ruscelli di paure, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi». Il che, tradotto dal sociologhese, significa, più o meno: non crediate che affidandovi a forze sovraniste riparta la ripresa economica e si sblocchi l' ascensore sociale. La quale opinione è rispettabile. Ma è squisitamente politica. Il Censis, oggi, elabora teorie personali e antipopuliste e piega i numeri a sostegno di una tesi. La sua. Ma si potrebbero leggere questi dati in altro modo, riovesciandoli: gli italiani, in realtà vogliono Salvini. È strano da ammettere, me ne rendo conto. Anche perché Salvini non è né Attila, né Garibaldi, né il Dracula romeno baluardo delle cristianità contro i turchi; ma non si vedono, al momento, altre ombre di leader all' orizzonte. Il caos prolungato della politica e l' incertezza dell' economia è un buco che richiede una sempre più pressante domanda di regole, anche se, a cercare d' imporle si può diventare «intolleranti fino alla cattiveria»: è l' anaciclosi di Polibio, il ciclo dei sistemi di potere in voga dall' antica Grecia. Con tutto il rispetto per il Censis... di Francesco Specchia

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