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Giuseppe Conte, il retroscena sul vertice con Angela Merkel: premier zerbino con Berlino

Giulio Bucchi
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Nel Vecchio Continente sono cambiati i governi e si sono imposte parole nuove - sovranismo, populismo - mentre il sol dell' avvenire tramontava. Un' unica cosa non è cambiata, in questi tredici anni: la centralità di Angela Merkel. È sempre da lei che bisogna passare. Anche adesso, con il ritiro già annunciato per il 2021, la papessa tedesca è quella che con la propria benedizione può fare la differenza. Lo sa Giuseppe Conte, il quale ieri - proprio come avevano fatto i suoi predecessori - ha chiesto la sua benigna intercessione nella trattativa che vede il governo di Roma contrapposto alla commissione europea. È andata male. Da lei ha ottenuto la disponibilità a non ostacolare la concessione di un briciolo di flessibilità all' Italia, accompagnata però dalla richiesta di riscrivere la riforma che dovrebbe introdurre la pensione a "quota cento". È il cavallo di battaglia di Matteo Salvini e il presidente del Consiglio non ha il potere di sacrificarlo. Cerino in mano - «Sta alla Commissione dare una valutazione della manovra italiana», ha sentenziato quindi la Merkel. Lasciando Conte solo col cerino in mano dinanzi a Jean-Claude Juncker e Pierre Moscovici, che gli chiedono di tagliare spese per altri cinque miliardi di euro e portare così il deficit sotto al 2% del Pil. Premier e cancelliera si sono incontrati ieri mattina a Bruxelles per una «colazione di lavoro» durata mezz' ora, in vista della riunione del Consiglio europeo chiamato a esaminare la manovra italiana. Colloquio «andato bene», ha giurato Conte. Consapevole che l' aiuto chiesto alla Merkel (e da lei negato) non è compatibile con i proclami sovranisti di Lega e Cinque Stelle, ha aggiunto di avere parlato pure con i leader dei rigidissimi Paesi nordeuropei e che, in ogni caso, «non siamo con il cappello in mano e non abbiamo nulla di cui scusarci». Resta il fatto che la sua strategia ricalca quella già vista e derisa da M5S e Lega quando erano all' opposizione, e non solo nella parte che prevede il lasciapassare di Berlino. Matteo Renzi ottenne dalla Ue una modica quantità di "flessibilità" per la generosa accoglienza riservata agli immigrati, Conte la chiede ora per finanziare il piano di prevenzione dal rischio idrogeologico e la riforma che dovrebbe ridurre i tempi della giustizia: l' Italia vorrebbe che i soldi per questi provvedimenti fossero scomputati dal deficit. Un escamotage, nulla di più: sarà sempre lo Stato ad accollarsi i costi, che però non appariranno nel conto della serva in base al quale la Ue ci giudica. Intervento creativo - L' altro intervento creativo per evitare la procedura d' infrazione è la revisione al ribasso delle spese previste, facendo passare l' idea che le prime stime per il reddito di cittadinanza e le nuove pensioni fossero eccessive. «Zelanti come eravamo stati, avevamo messo più soldi di quelli che servivano», va dicendo Luigi Di Maio. Tutto quello che non è maquillage, però, non rientra nel mandato assegnato a Conte dai due vicepremier. «Quota cento e reddito cittadinanza non si toccano. Verranno realizzati come sono stati concepiti, programmati e annunciati», rimarca il presidente del Consiglio. Anche se di nessuno dei due provvedimenti sono noti i dettagli, ridimensionarli rischia infatti di far saltare il governo. Il leghista Giancarlo Giorgetti ieri è stato chiaro: «Il nostro impegno dura nella misura in cui sarà possibile realizzare il contratto. Quando non sarà possibile, finirà». A Bruxelles come a Roma, tutto deve essere ancora deciso. di Fausto Carioti

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