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Pd senza leader, sondaggio inquietante: dove volano i sinistri

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Davide Locano
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Domani Cinquestelle perderà le elezioni in Sardegna, dove probabilmente vincerà il candidato di Salvini, Christian Solinas, leader del partito autonomista isolano. Sarà la quinta sconfitta in meno di un anno che il Movimento subirà dall' alleato di governo. Una rondine non fa primavera, ma ormai siamo in presenza di un piccolo stormo, per nulla benaugurante per i grillini in vista del voto europeo di maggio. Di Maio e compagni danno per scontata la sconfitta e non hanno messo la faccia sulle elezioni, lasciando campo libero al ministro dell' Interno. Si sono rassegnati a essere i numeri due, anche se solo un anno fa avevano raccolto il doppio dei voti della Lega. Leggi anche: Sondaggio-Piazzapulita, il disastro grillino Quello che spaventa davvero i Cinquestelle però non è l' ennesima umiliazione da parte dell' alleato di governo bensì la possibilità, concreta, di essere superati dal Pd. Alle Politiche del 2018 i grillini in Sardegna avevano raccolto quasi il 43% dei consensi, il triplo di quelli del Pd, che non aveva raggiunto il 15%. Tra le due forze c' era un divario di circa 250mila voti. Vederlo azzerato in 12 mesi sarebbe peggio di una Caporetto, anche perché l' isola è stata una delle prime terre a voltare le spalle alla sinistra per abbracciare Casaleggio e Grillo, che nel 2013 fece un memorabile tour elettorale tra i minatori del Sulcis, promettendo tutto ciò che Di Maio e compagni non sono poi riusciti a mantenere. Il controsorpasso del Pd sarebbe la conferma, in un feudo giallo, di una parabola che sullo scenario nazionale declina ormai forse in modo irreversibile. Gli ultimi sondaggi danno M5S intorno al 22%, dieci punti sotto il 4 marzo e a 12-13 dall' alleato leghista, mentre il Pd bascula intorno al 18% ottenuto da Renzi. Le ragioni del crollo grillino sono evidenti. Una gaffe tira l' altra, un congiuntivo sbagliato pure, e tutti insieme danno l' immagine di un' Armata Brancaleone senza neppure Vittorio Gassman. Di Maio e soci calano perché hanno deluso alla prova del governo, sia nei confronti dell' alleato, più pratico e affidabile, sia in senso assoluto. LE FAZIONI Sono divisi in due fazioni, ultras di sinistra da centro sociale e governanti incravattati buoni a nulla. Perfino l' unica cosa sensata che Cinquestelle ha fatto, il salvataggio di Salvini dal processo per sequestro di persona, si sta rivoltando contro il Movimento. Se alle prime critiche che arrivavano, la difesa grillina della teoria del complotto e dell' avversione dei poteri forti al cambiamento reggeva, cammin facendo il sospetto di essersi messi nelle mani di una masnada d' incapaci che hanno vinto alla lotteria si sta impadronendo degli italiani. Più stupefacente è che il Pd, malmesso com' è, non muoia. Renzi, l' ex leader, ha i genitori agli arresti, da tre mesi i vertici trascurano ogni battaglia politica per concentrarsi sulle beghe interne in vista delle primarie, manca un capo e le uniche vie che il partito batte con decisione sono la difesa dell' immigrazione senza controlli, che già le fu fatale alle elezioni scorse, e quella dell' Unione Europea da cambiare, ma nessuno si prende la briga di specificare come. Ci sono tutti gli elementi per il restringimento del partito a percentuali da comparsa, e invece esso rischia di ritornare come seconda forza. Le ragioni sono tre. Il crollo grillino avvantaggia tutti gli altri, che crescono per il semplice fatto di non perdere o non perdere troppo. Alcuni elettori pentastellati sono tornati all' astensionismo, altri si sono votati all' uomo forte del governo, Salvini, che meglio incarna la protesta e il cambiamento, altri ancora meditano di tornare all' ovile, la sinistra, da cui il Movimento all' ultimo giro ha attinto la maggior parte dei consensi. Poi c' è il collante dell' ideologia; per quanto minoritaria, una buona parte di italiani è e sarà sempre di sinistra. La possibilità che il 16-18% sia lo zoccolo duro Dem e che al di sotto di quella soglia sia difficile che il partito vada è reale. LA SPIEGAZIONE Ma la spiegazione più credibile alla tenuta è che i Dem sono da un anno senza capo (né coda). Questo rende impossibile il tiro al piccione che irrimediabilmente parte dall' interno contro chiunque prenda il potere a sinistra. Finché non c' è un leader, non ci sono quelle guerre civili che disgustano l' elettorato e ridicolizzano il partito e nessuno si può intestare battaglie scaccia-voti come quelle sullo ius soli, per l' introduzione della patrimoniale o per il bail-in, il fiscal compact e altre concessioni all' Europa delle banche. Meglio il nulla rispetto alle ultime battaglie. Tra poco, quando Zingaretti sarà diventato il nuovo segretario, ci sarà la prova del nove. Il partito tenterà di allargarsi a un sorta di nuovo Ulivo, da Bersani e Boldrini fino a Calenda e Boschi, oppure tornerà a frammentarsi in uno stucchevole gioco di veti incrociati, antipatie e distinguo ideologici sul nulla. L'esperienza dice che andrà così, ma stavolta sarebbe davvero la fine. La crisi grillina offre alla sinistra una possibilità che solo chi è privo d' istinto di conservazione può buttare via. di Pietro Senaldi

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