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Virginia Raggi, tra gaffe e uscite sbagliate si è rassegnata: "Ormai ho chiuso"

Davide Locano
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Come un' eroina di Stendhal, col faccino triste e il sorriso liso dai dardi d' un' avversa fortuna, Virginia Raggi sta vivendo, ora, il suo momento di massima solitudine tra i Cinque Stelle. Diciamo pure che la stanno facendo fuori. I rumors interni al Ms5 confermano infatti il retroscena romanzesco di Alessandro Trocino del Corriere della sera: Virginia avrebbe davvero detto «Io con i 5 Stelle no ci parlo più». E, infatti, a parte Alessandro Di Battista - che solidarizza con lei, geograficamente, a tappe, dalle varie presentazioni del suo libro in varie parti d' Italia - l' ala governista di Di Maio avrebbe mollato la sindaca. Della tempesta si sono avute le avvisaglie l' 8 maggio scorso, quando Virginia prese le difese del rom bosniaco di Casal Bruciato assegnatario nella periferia romana di un alloggio popolare; trattavasi d' un sedicente «onesto lavoratore» poi scopertosi, curiosamente, intestatario di 27 automobili. ROM E DIMISSIONI Ecco. È stato in quel preciso momento, al commento salviniano di Luigi Di Maio «prima si aiutano i romani, poi gli italiani, poi tutti gli altri», che la sindaca ha avvertito il gelo della solitudine. E poi ci sono state le misteriose dimissioni di Enrico Stèfano, fino a ieri presidente vicario dell' Aula capitolina subentrato a Marcello De Vito accusato di corruzione; dimissioni che si vanno a sommare a quelle dei nove assessori («A Virgì nun te preoccupà, prima o poi troverai n' assessore che te vole bbene...», scrive il satirico Osho) e i sette dirigenti comunali svaniti nelle nebbie politiche della Capitale. Frongia, Minenna, Rettighieri e Brandolese, Rainieri e Marra, Colomban, De Dominici e, via via, tutti gli altri: i loro nomi, le loro storie, i loro fallimenti e tentativi di governo, echeggiano ancora in quei corridoi perduti, nella vorticosa girandola degli addii che avvolge il Campidoglio. MALEDETTO VIDEO E poi, ad avvelenare il clima hanno contribuito anche le gaffe di Virginia. Meglio di Mike Bongiorno negli anni 70. La gaffe più recente contro Zingaretti, attraverso un imbarazzato video via Facebook che attiene alla denuncia di interruzione della raccolta di rifiuti davanti all' impianto di smaltimento sbagliato, possiede addirittura un suo fascinoso slancio poetico. Ma sono quelle precedenti ad averla consegnata alla storia: i bandi pubblici pro rom dopo essersi opposta ai loro campi, l' assenza all' incontro con la Cei, il lutto cittadino ritardato per Amatrice, l' indifferenza verso la comunità ebraica, l' emergenza idrica a Bracciano, l' auto in divieto di sosta sotto il municipio. Le faccende dell' accumulo dei rifiuti e delle frequenti sortite di ratti, cinghiali e gabbiani nel putridume di una città che ha perso se stessa, le hanno dato il colpo di grazia; e questo nonostante nel decreto crescita si sia preservato, fondamentalmente, l' impianto del «Salva-Roma» che dovrebbe sollevare la sindaca di parte dei 12 miliardi di debiti che attanagliano la Capitale. CADUTA LIBERA «Nel frattempo si sono interrotti anche i rapporti tra il Campidoglio e la comunicazione nazionale che provava a guidare, sollecitare, controllare la sindaca», nota il Corriere. Ed è vero. Ora che, nonostante l' indubbia buona volontà della Raggi, le sue inefficienze programmatiche sono diventate modus operandi, be', il Movimento - che ha già i suoi problemi - ha deciso di mollarla. Certo, non subito. Certo, con le dovute accortezze che si debbono ad un sogno spezzato: far finta di nulla, non prendere più posizione, fare i Talleyrand di un Napoleone in discesa verso gl' inferi. Questa è la tattica dei grillini. Qualcuno vede, oggi, in Virginia la parabola di Federico Pizzarrotti, il sindaco di Parma, prima simbolo dell' ascesa del Movimento e dopo suo più fiero avversario. Ma Pizzarotti aveva dalla sua il popolo che l' ha rieletto. Per Virginia i romani invocano i leoni del Colosseo e l' incendio di Nerone. «Io con questi ho chiuso» è diventata, pare, oramai, salvo colpi di coda, una dichiarazione programmatica. di Francesco Specchia

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