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Silvio Berlusconi, tutte le coltellate: da Montanelli a Gianfranco Fini. L'agonia del leader di FI

Caterina Spinelli
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È sempre stato un toro, in tutti i sensi, dove vedeva rosso caricava, creava il vuoto intorno, seminando il panico tra i matador. Quanti ne ha incornati Silvio Berlusconi di concorrenti e avversari nel mercato televisivo prima e in quello politico dopo, e in quello giudiziario pure? Una moltitudine. Nomi? Non è questo l' articolo giusto per ricordarli. Quelli meritano fiori. È la giravolta dei cicisbei a disgustare. Ora che il Toro è seduto e persino sedato, assistiamo infatti all' abbandono di figlioli e figliole da lui prediletti. Quando li ha fatti salire in ascensore con lui, erano festevoli. Ora che scende, anzi precipita, saltano fuori e gli fanno marameo. Nell' animo, nell' intelligenza e nella volontà resta lo stesso fenomeno mitologico, ma ora che gli pulsa la giugulare e ha reclinato un poco il capo, farfalline e farfalloni sono volati via. L' età del Cavaliere, 82 tondi, è quella che è, ma non è questo il punto. Si vedano Napolitano, Scalfaro, Pertini: a 85 anni erano riveriti e portati sulle spalle dal popolo e dai compagni più giovani, devoti nonostante le loro contraddizioni e procedettero di gloria in gloria fino ai 90 e passa. Una ragione c' è. Leader di partito e di governo non lo erano mai stati, non avevano trascinato verso il potere e il successo nessuno. Furono e sono calibri medi, spediti su un missile tra le stelle dai casi fortunati e dall' astuzia. Per Berlusconi sta accadendo come capitò nel secolo scorso ad uno che comincia per M, a un altro di nome De Gasperi, al terzo il cui cognome fa Craxi (più fortunati, quanto ad amici fedeli sono stati Andreotti e Cossiga). Per Berlusconi il festival del si salvi chi può è accentuato perché è stata sconsiderata la sua generosità e forse perché ha premiato costantemente i peggiori. Gli restano accanto di sicuro quelli che sono coetanei, e che anche senza di lui avrebbero primeggiato: Fedele Confalonieri e Gianni Letta. Gli sarebbero vicini, magari tirandogli le grande orecchie, anche Giampiero Cantoni, se non fosse precocemente deceduto e ricchissimo di suo, e Marcello Dell' Utri, consegnato però ai domiciliari. TRIONFI E SOLITUDINE Sin dal principio in tanti e tante hanno sfruttato la forza della natura di questo signore che liberava il terreno politico e commerciale per regalarne l' usufrutto a personaggi senza qualità, a parte il blazer o le belle gambe. Posizioni prestigiose inventate per chi era poca cosa nel mercato della vita. Quanti (e quante) hanno approfittato molto volentieri dei suoi servizi taurini, e quando hanno scoperto che, come il vecchio capo apache, era vivo sì ma ferito e bisognoso di sentire il fiato amico di principini e principine da lui incoronati, si è ritrovato lì come un pirla. La storia di Berlusconi è sempre stata caratterizzata da questo andamento per metà trionfale e per l' altra metà di solitudine. A parte casi seri, e separazioni consensuali, la più parte dopo averlo implorato e per tre minuti ringraziato, una volta fatto il pieno e spremuto il succo dall' ubertoso brianzolo, lo ha mollato, spietatamente rinfacciandogli che la cuccagna non abitava più ad Arcore. Quello che sta succedendo in questi giorni è in realtà una ripetizione triste della stessa scena. Resa più drammatica dall' esplosione di un partito che lui aveva fatto crescere fino al 38%. Per trent' anni ha ricevuto palle di cannone giudiziarie e mediatiche, certo incoraggiate da errori e debolezze anch' esse perlopiù taurine. Chi gli stava intorno non ha mai eccepito. Adesso che è stanco gli tagliano i tendini. Gli ultimi casi sono quelli di Giovanni Toti e, sia pure con motivazioni più angelicamente espresse, di Mara Carfagna. I quali hanno le loro ragioni, ma non quelle del cuore, come direbbe Pascal. Il partito va male.D' accordo. Che bisogno c' è di ferire il benefattore? Berlusconi sembra re Lear alla fine della sua parabola, assiso su un trono assai gramo, magari circondato da ancelle e famigli di levatura non straordinaria, però con il merito della fedeltà, si spera non pelosa. LA LUNGA FILA Chi si sente non più prescelto, usa questa scusa del cerchio magico per abbandonarlo e abbindolarlo, senza restituire la dote che Berlusconi aveva loro concesso, ma anzi sfruttandola per relegarlo ai margini della scena italica. Magari anche bendandolo a parola come una sacra mummia da onorare con un giro di turibolo dichiarandolo però defunto, come Lazzaro, ma senza più speranze di risurrezione. Possiamo cominciare dai primi tempi? A mollarlo senza un grazie fu nientepopodimeno che il grandissimo Indro Montanelli, che non osiamo includere nella categoria dei perdenti di successo, ci mancherebbe. Esiste l' esercizio della libertà e del ripudio, ma c' è modo e modo. Berlusconi aveva salvato, mettendoci un sacco di soldi, il Giornale nuovo (si chiamava così), il coraggioso naviglio pirata di Indro che aveva radunato una magnifica ciurma di ribelli al conformismo progressista del Corriere della Sera, la cui proprietaria simpatizzava per Mario Capanna e dintorni, consentendo che il glorioso quotidiano della borghesia milanese esponesse il vessillo comunista, custodito con paracula benevolenza da Piero Ottone. Il quotidiano, che elargiva fior di stipendi ai giornalisti azionisti, perdeva montagne di quattrini. Berlusconi comprò le azioni arricchendo i profughi di via Solferino, e da quel momento fu il padrone del Giornale specialmente nel senso che ne ripianava i debiti. Quando la famosa rivoluzione italiana mandò in tribunale, in galera, in esilio i leader del pentapartito, dando libero campo agli ex comunisti, Berlusconi pensò che l' unica speranza fosse fondare un suo partito e sfidare Occhetto. Chiese una mano a Montanelli e ai suoi fidi, e quelli lo abbandonarono, come era loro diritto. Ma, e questo forse non era proprio un dovere, con i fondi raccolti da un bravo faccendiere comunista, aprirono la Voce per affondare l' avventura del loro mecenate. Non ci riuscirono. Un anno e si inabissarono. Nella Voce militavano tra gli altri ex salariati del Cavaliere che non gli perdonarono mai di essere finiti sul suo libro paga. Un paio di nomi: Marco Travaglio e Peter Gomez. Camparono con lui e campano contro di lui. Anche quelli finiti al Corriere della sera, come Beppe Severgnini. Nella sua "discesa in campo", Berlusconi era riuscito nel capolavoro di mettere insieme, ascoltando Vittorio Feltri, Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Sdoganò l' Msi sin dalle elezioni comunali di Roma del dicembre 1993. Poi portò Fini al governo con tutta la sua truppa fascista, che non è un insulto, per carità. Così come fece con Bossi, il quale pensò bene, dopo sei mesi, di ribaltare il governo di colui che allora chiamavano Sua Emittenza, ingannato da Oscar Luigi Scalfaro. Bossi peraltro è l' unico che dopo averlo tradito al grido di «Berluscaz!» ha compreso l' errore e dal 2001 è diventato il suo amico personale e politico più fidato. VOLTAFACCIA IN VIDEO In quella tornata magica datata 1994, Carlo Freccero fu innalzato a direttore in Rai, avendo costruito il suo curriculum a Fininvest. Ottimo professionista. Ma non gli ha perdonato la regalia al suo mentore, ed è finito tra i fan di Daniele Luttazzi, che dopo aver lavorato nelle televisioni del Berlusca, ha chiamato in Rai Travaglio per dargli del mafioso. La parabola di Fini è troppo nota per rievocarla di nuovo. Altri casi clamorosi? Vittorio Dotti, avvocato di Berlusconi, e poi accusatore insieme alla sua compagna Ariosto. Il duo Casini-Mastella, cui si perdonano molte cose per la simpatia e la guasconaggine. Da lui salvati quando il loro partito valeva lo 0,8% e messi in lista in Forza Italia, fatti ministri e presidenti della Camera, e sbarcati poi con nonchalance come Guardasigilli con Prodi o senatori con Renzi e Zingaretti. Siamo ancora in politica: al capitolo delfini. Berlusconi ne ha scelti parecchi. Ed è brutto quando sei innalzato e poi, viste le scadenti evoluzioni, scaricato nell' acquario dei tonni. Ricordiamo Antonione, Scaiola, Bondi, persino apparve con rango simile la Daniela Santanchè. Noi guardiamo sempre le loro storie a partire dalla loro delusione. Ma dal punto di vista di Berlusconi, dove sta l' errore? Nell' averli scelti, e poi, avendo capito che non reggevano il compito, averli alla fine destinati alle seconde file? Buona la prima. Hanno giocato male, si perde. Alfano è un caso a sé, non ha detto mai una sola parola contro il capo, e ha dimostrato mollando tutto di saper reggere la concorrenza nella vita civile. Lo stesso dicasi per Verdini. Ma andarsene, se ne sono andati. Fuori della politica? Qui siamo al privato di nome Veronica. Basta la parola, lasciamo perdere. E il calcio? Silvio ha portato il Milan in cima al mondo. E gli ultrà si sono messi ad insultarlo, a invocarne la cacciata. Berlusconi, con Galliani, si è rifugiato nel Monza, vicino a casa, discute di terzini e forse di ballerine con il fratello Paolo. Quanta gente ad Arcore faceva la fila. Ne ricordo tanti. Personalmente, porto volentieri il suo orologio al polso. di Renato Farina

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