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Sergio Mattarella, bomba Ilva sul governo. Retroscena: ultimatum al premier, o si risolve o si vota

Giulio Bucchi
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Prima a Montecitorio, poi a Palazzo Madama. È nelle due informative che il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, rende in Parlamento «sulla situazione dell' azienda Ilva di Taranto» che il governo certifica la propria impotenza di fronte all' annuncio di fuga di ArcelorMittal. Il ministro grillino, seguito a stretto giro di posta dal suo capo politico, Luigi Di Maio, rompe gli indugi e si appella all' opposizione: «Serve un atto di responsabilità di tutte le forze politiche. Dalla mia (il M5S, ndr) all' ultima forza di opposizione. È una questione di interesse e di sovranità nazionale. Non facciamoci prendere per il naso da un' azienda». È l' ammissione pubblica di ciò che è noto da giorni: per approvare eventuali provvedimenti contenenti le misure per convincere ArcelorMittal a fare marcia indietro rispetto ai propositi di fuga, i voti della maggioranza giallorossa non bastano, vista la voragine che si è aperta tra i pentastellati.  Leggi anche: "La mia proposta a Mittal". Conte la voleva risolvere così: una incredibile deriva grillina Da qui la mozione degli affetti all' indirizzo dei "sovranisti", quei richiami all' orgoglio nazionale. «In altri Paesi quando si affrontano crisi che mettono a serio repentaglio l' economia di un Paese intero, si risponde in modo unito e unitario, non accusandosi vicendevolmente», insiste Patuanelli. Il ministro grillino tira in ballo non solo il centrodestra, ma l' intero «sistema Paese: il Parlamento, i sindacati, le forze sociali». Quei sindacati cui il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nel pomeriggio propone l' istituzione di un «tavolo permanente» sull' Ilva. «Il problema è serio: preservare il polo siderurgico è strategico per il Paese», dice il premier. Quirinale in pressing - Già Conte. A conferma di quanto stiano ballando la maggioranza e l' esecutivo sul destino dell' acciaieria, in mattinata filtra la notizia di un colloquio al Quirinale tra lo stesso presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Oggetto del faccia a faccia: quanto sta accadendo a Taranto, con uno sguardo sulle carte in mano a Palazzo Chigi per risolvere la crisi. Di fronte a Conte, Mattarella ha fatto la voce grossa. Nel linguaggio felpato delle fonti quirinalizie, si avvalora la ricostruzione di un capo dello Stato «preoccupato» non solo per la sorte del polo siderurgico, ma anche per le altre crisi aziendali (Alitalia, Whirlpool). Al premier, Mattarella ha recapitato un messaggio tanto semplice, quanto ultimativo: adoperarsi per risolvere rapidamente le vertenze, visto che l' occupazione è un problema «rilevante» per il "sistema Paese". Traduzione: guai ad aprire una crisi su questo fronte, che diventerebbe un problema per l' Italia. Tale da travolgere, di conseguenza, l' esecutivo. Parole i cui destinatari, attraverso Conte, sono i gruppi parlamentari del M5S, popolati da irriducibili che tifano per la chiusura dello stabilimento. Bagarre trai banchi - Il guaio, per l' ex "avvocato del popolo", è che le missioni - far ragionare i grillini e ammorbidire l' atteggiamento delle opposizioni - paiono impossibili. A Montecitorio, al termine dell' infuocato intervento del capogruppo della Lega, Riccardo Molinari, i deputati del Carroccio espongono tre striscioni. Eloquente il messaggio: «A casa voi, non gli operai». Scritte rimosse dopo l' intervento del presidente della Camera, Roberto Fico, ma la cui esposizione è stata accompagnata dal coro «elezioni! Elezioni!». Chiaro il messaggio: l' eventuale aiuto sull' Ilva presuppone le dimissioni dell' esecutivo. «Il governo finisce politicamente oggi», sentenzia Molinari. Nella maggioranza il nervosismo è palpabile. Ne sono una spia sia le parole di Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera - «Taranto è il futuro di questo governo. Questo governo deve giocare tutto su Taranto» - sia quelle che Di Maio affida a Facebook in un ultimo, disperato tentativo di coinvolgere nella partita le opposizioni: «In questi giorni ci sarà da far rispettare la sovranità dello Stato. E non lo potranno fare i camerieri delle multinazionali travestiti da sovranisti». Il veleno del ministro degli Esteri nei confronti dei leghisti - accusati, per aver proposto di reintrodurre subito l' immunità penale a favore di ArcelorMittal, di «resa senza condizioni» al gruppo indiano («tra un po' gli portano anche la scorzetta di limone») - tradisce la sensazione di impotenza che serpeggia nella maggioranza. «Dobbiamo costringere l' azienda a trattare», intima il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Conte, ospite di Porta a Porta, tiene aperta ogni opzione. «Stiamo già valutando tutte le possibili alternative». In cima c' è quella della nazionalizzazione attraverso l' intervento di Cdp. Se ArcelorMittal lascerà l' Ilva, confida il premier a parti sociali ed Enti locali nel corso dell' incontro a Palazzo Chigi, «il primo step sarà la gestione commissariale al Mise». Senza dimenticare la battaglia legale: «Sarebbe la battaglia del secolo». di Tommaso Montesano

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