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Di Maio e Zingaretti, retroscena: "La pazienza ha un limite", "Non se ne parla". Inciucio, gelo nella notte

di Giulio Bucchi sabato 31 agosto 2019

2' di lettura

"Non se ne parla proprio". Nicola Zingaretti l'ha ripetuto più di una volta a Luigi Di Maio: frenate brusche e timide accelerazioni nella trattativa tra Pd e M5s, cominciata ufficialmente alle 18 di lunedì a Palazzo Chigi e proseguita dalle 21 e ben oltre la mezzanotte, alla presenza del potenziale premier-bis Giuseppe Conte e il suo probabile vice Andrea Orlando. I retroscena sull'inciucio riferiscono di momenti di gelo e ostacoli difficili da superare. "Il nodo è l'economia", ricorda chi tiene a sottolineare come l'accordo sarà sulle "idee" e "i programmi" e non sulle persone. Ma il problema, spiegano i più realisti, sono soprattutto le poltrone.  Leggi anche: "Incredibile Pd, al governo 4 volte in 6 anni senza elettori". Lo sconcerto di Porro Dai 5 Stelle, riporta il Corriere della Sera, si lamentano di come l'apertura del Pd su Conte premier sia "di facciata", utile solo a far partire la trattativa. "La pazienza ha un limite", ha fatto dire a tarda notte Di Maio ai suoi uomini. Poltrone, si diceva. Il leader grillino vorrebbe per sé una poltrona da vice-Conte, e lo stesso ha chiesto per Zingaretti. Il segretario dem ha rifiutato con fermezza, più volte, perché sa che se accettasse dovrebbe rinunciare all'incarico di governatore del Lazio provocando un ritorno alle urne e un pericolosissimo nuovo fronte elettorale. Fonti Pd ribaltano tutto, sostenendo che sia stato Di Maio a porre come prima questione Conte: "Facciamo intanto Giuseppe premier incaricato, poi vediamo il resto. Mi faccio io garante...". Freddezza estrema da Zingaretti. Verso mezzanotte sembra saltare tutto, poi Pd e M5s ricominciano a trattare. I dem chiedono il Ministero dell'Economia, i 5 Stelle quello degli Interni, e magari Difesa e Farnesina. Verso l'una il vertice viene aggiornato alle 11 della mattina. Dal cauto ottimismo si è passati velocemente a un velo di diffidenza reciproca. Che potrebbe compromettere anche la fiducia del presidente della Repubblica.

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