Roma, 23 nov. (Adnkronos) - "Il senatore a vita Monti -come si sa- non si può candidare al Parlamento perché è già parlamentare: questo non è un particolare da poco, qualche volta lo si dimentica. Quindi, non può essere candidato di nessun partito, e non può essere comunque, in quanto persona, candidato al Parlamento: è un senatore a vita". Le parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riaprono il dibattitto sulla possibilità per un senatore a vita di lasciare lo scranno di Palazzo Madama. Sfogliando gli annali si rintracciano due precedenti di dimissioni da senatore a vita ed entrambi riguardano l'ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, che prima nel 2002 poi nel 2006 annunciò la decisione di lasciare il laticlavio, intenzione respinta dai colleghi dopo un dibattito in Aula. C'è stato poi chi, come Arturo Toscanini ha rinunciato alla nomina; altri, vale a dire Indro Montanelli e Nilde Iotti, preventivamente hanno fatto sapere di non essere interessati a far parte della Camera Alta come senatori a vita. Enrico De Nicola, Giovanni Leone e lo stesso Giorgio Napolitano, invece, da senatori a vita sono stati eletti ad altre cariche incompatibili con quella di parlamentare, per tornare poi a Palazzo Madama. Infine Giulio Andreotti, passato al Senato per nomina presidenziale quando era deputato e presidente del Consiglio, non potè più sottoporsi al giudizio degli elettori. L'istituto di senatore a vita trova la sua origine nell'articolo 59 della Costituzione, in base al quale "è senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". E' il caso, oltre che di Monti, di Giulio Andreotti, Rita Levi Montalcini ed Emilio Colombo, mentre attualmente è senatore a vita in quanto ex Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. Più volte sono state avanzate proposte per abolire l'articolo 59 della Costituzione e lo stesso Cossiga se ne fece promotore. L'ex Capo dello Stato, poi, in due occasioni presentò le dimissioni dal seggio di Palazzo Madama. Una prima volta il 1 giugno 2002. "Con questo mio atto -spiegò nella lettera inviata al presidente del Senato- intendo dare un responsabile contributo all’ordinata vita delle Istituzioni del mio Paese, con piena consapevolezza che si è ormai chiuso per me il periodo della mia attività istituzionale, non certo civile e politica". Le dimissioni furono discusse in Aula il 19 giugno successivo, Cossiga disse: "Mi dimetto per riaffermare e testimoniare, di fronte all’opinione pubblica e alle Istituzioni del Paese, la supremazia in democrazia della politica, la supremazia dello Stato di diritto e la supremazia del Parlamento, quale supremo e unico garante della libertà e delle libertà dei cittadini, per una concezione laica e non etica e non didattica della giustizia. E ciò faccio forse, anzi, certo presuntuosamente ritenendo di dare con questo atto al Paese e alle Istituzioni un utile scandalo, perché credo nel Vangelo e credo quindi che talvolta sia opportuno che gli scandali accadano". Le dimissioni furono però respinte: su 227 senatori votanti, i favorevoli all'addio di Cossiga furono 57, i contrari 165, gli astenuti 5. Cossiga annunciò nuovamente la decisione di lasciare il Senato il 27 novembre del 2006. All'origine del suo gesto, stavolta, la mancata risposta da parte del ministro dell'Interno di allora, Giuliano Amato, ad una interpellanza sul caso Abu Omar. "D'altronde -argomentò poi l'ex Capo dello Stato- il fatto noto che io giudichi l'istituto del senatore a vita, di diritto o di nomina presidenziale, del tutto anacronistico in una democrazia rappresentativa giunta alla maturità di un regime di alternativa tra due poli politici investiti dal voto popolare di svolgere le funzioni di governo e di opposizione, fanno di queste mie dimissioni un atto di coerenza politica, istituzionale e morale". Tra l'altro, la decisione di Cossiga si inseriva nel contesto di una contingenza politica particolarmente delicata, visto che al Senato la maggioranza che sosteneva il governo di Romano Prodi era perennemente in bilico, con il voto dei senatori a vita determinante in varie occasioni e la conseguente scia di polemiche. Una querelle che naturalmente entrò nel dibattito sulle dimissioni di Cossiga, svoltosi il 31 gennaio del 2007 e conclusosi anche stavolta con un no dell'Aula con 178 contrari all'abbandono del senatore a vita, 100 favorevoli e 12 astenuti su 290 votanti. Le dimissioni dell'ex Capo dello Stato da senatore a vita sono rimaste finora un unicum, mentre si ricorda un caso di rinunzia dopo la nomina al laticlavio a vita da parte del Presidente della Repubblica. Accadde con Arturo Toscanini, che il 6 dicembre 1949 rinunciò alla nomina avvenuta il giorno prima e in questa occasione il Senato si limitò a prenderne atto. Ci sono poi i casi di chi rinunciò preventivamente, facendo sapere al Colle, di fronte ad ipotesi di nomina, di non essere interessato. Così nel 1991 fu Indro Montanelli a dire di no alla possibilità di diventare senatore a vita. La stessa cosa fece l'allora presidente della Camera Nilde Iotti, che, sempre in quell'anno, a fronte di indiscrezioni che circolavano nei palazzi romani circa l'intenzione del Capo dello Stato, Francesco Cossiga, di nominarla senatrice a vita, fece recapitare per motociclista al Quirinale un biglietto manoscritto di due righe dal contenuto inequivoco: "Qui sono stata chiamata dalla fiducia dei colleghi, e qui resto per rispettarne la volontà". Da registrare poi la circostanza di chi, senatore a vita, è stato chiamato ad altri incarichi incompatibili con quello di parlamentare. E' il caso di Enrico De Nicola, senatore a vita dal 1948 in quanto ex Capo dello Stato provvisorio, eletto giudice costituzionale a dicembre 1955 e dimessosi poi dalla Consulta a marzo del 1957, quando riprese possesso dello scranno senatoriale, per il venir meno della causa di incompatibilità che aveva determinato una sorta di 'sospensione'. Era già senatore a vita, dal 1967, Giovanni Leone, quando nel 1971 fu eletto Presidente della Repubblica. Cessato dal mandato tornò al Senato come ex Capo dello Stato. Una traiettoria percorsa anche dall'attuale inquilino del Quirinale, Giorgio Napolitano, eletto nel 2006 dopo essere stato nominato senatore a vita l'anno precedente e che si appresta a tornare a Palazzo Madama alla fine del settennato. Infine una situazione curiosa che, pur con le dovute differenze di sistemi, di epoche e di contesto storico, può essere accostata in qualche modo a quella in cui si trova l'attuale presidente del Consiglio Mario Monti. A giugno del 1991 Giulio Andreotti, sempre eletto a suon di preferenze dal 1946, all'Assemblea costituente prima e poi ininterrottamente alla Camera, fu nominato senatore a vita mentre era presidente del Consiglio. L'anno successivo quindi non potè presentarsi alle elezioni politiche, con l'impossibilità per l'interessato di trovare una nuova legittimazione popolare e per la Dc di mettere in campo uno dei suoi 'cavalli di razza'.